sabato 1 novembre 2025

A Pavia, un appuntamento letterario da non perdere (se possibile...)

 Nell'ambiente ideale per quelli che la cultura è una bella cosa
di Claudio Montini

 L'effervescente Biblioteca Mirabello Scala di Pavia ospita, il 7 Novembre 2025 alle ore 18, una brillante narratrice dal multiforme ingegno, Marina Crescenti, per illustrare e dare conto e notizia della sua più recente produzione. Anche un giallo è un romanzo ed è un'opera letteraria che ha la medesima dignità di tutte le altre che l'hanno preceduta o che si occupano di altri temi: anzi, un poliziesco è meglio di un saggio sociologico, in primis, perchè è meno noioso e, in secundis, perchè consente una critica diretta e schietta alle storture e alle magagne della società moderna con un linguaggio affatto aulico, non omologato, non da specialisti ma più vicino ai veri destinatari di tutti i prodotti degli intellettuali, o presunti tali, che si candidano ad essere autorità morali e culturali: noi, il popolo comune, la maggioranza silenziosa (perchè impegnata, una volta tanto, a tenere lo sguardo sulle righe di una pagina invece che sulle piastrelle di silicio e terre rara e plastica). Anche se non potrò andarci, dico "EVVIVA!" e auguro buona lettura e buon divertimento a tutti. ©2025 testo di Claudio Montini - immagine condivisa dal profilo Facebook di Marina Crescenti

giovedì 30 ottobre 2025

Suggerimento di lettura o idea regalo...

Sessanta secondi sospesi durante Halloween, a maggior ragione!!

di Claudio Montini

Per stare in tema Halloween, vi consiglio questa mia creazione per la collezione "GLI ATOMI-micro romanzi per chi va di fretta", intitolata SESSANTA SECONDI SOSPESI: si trova agilmente su amazon.com sia come ebook che in cartaceo.
Vi regalo un breve estratto tratto da questa favola tragica allestita in un teatro improbabile, ma reale, come il paese (o borgo, come in maniera irritante, a mio parere, si usano definire le piccole località e i villaggi dello Stivale Italico) dove sono cresciuto, vale a dire Sairano di Zinasco (come lo definivano mio padre e mio nonno), in provincia di Pavia.
In questo teatro, come in tanti altri luoghi sulla Terra, grazie a Dio, cielo e terra si toccano nell'intersezione in cui nascono i sogni, anche dopo le peggiori disgrazie e il corollario di dubbi che il dolore amplifica e sottolinea, affinché si riaffermi la speranza in una vita migliore anche dopo quella spesa in questa valle di lacrime.
[...] Non ti sopravvivrò, almeno questo mi è stato risparmiato...
Questa è la sola cosa di cui io possa menare vanto, se non si considera il fatto che io abbia vissuto sessanta secondi più di ogni altra creatura dell'universo.
[...] E' un regalo concepito e offerto da Dio per non soffocare la speranza, per dare una risposta quasi consolatoria all’ultima domanda che ciascuna creatura sensibile e senziente si pone, quella prima del suo giudizio insindacabile.
Il tempo si ferma e lo spazio si deforma quanto basta a fare in modo che i piani paralleli della vita si tocchino senza annichilirsi: un'ulteriore occasione per un congedo sereno, lo spazio per un "arrivederci" senza rimpianti, la concessione di uno sguardo disincantato alla propria memoria. [...]
Un minuto d'amore, alto come il cielo e profondo come il mare, insegna più di una vita a correre e cadere: tutto il resto è fatica sprecata e tempo perso. [...]
Buona lettura a chi vorrà ordinarlo e anche a chi si limiterà a leggere questo post!

©2025 Testo e immagini Claudio Montini

venerdì 24 ottobre 2025

In ricordo di un poeta amico...

Dedicato a Massimo Pistoja (1958-2022)
di Claudio Montini


In questi giorni, la data non me la ricordo mai perché mi fa male, tre anni fa circa, veniva a mancare una persona a me molto cara sebbene non ci fossimo mai incontrati di persona. Avevamo stima l'uno dell'altro ed eravamo dei sognatori incalliti, apprezzavamo i pittori impressionisti e gli artisti puri, ovvero quelli che facevano qualcosa di bello per gli altri e per sé stessi senza porsi il problema di una remunerazione. Lui amava la poesia perché era il modo più diretto per mostrare e organizzare le proprie emozioni, io mi sentivo più a mio agio con la prosa, con la narrativa perché volevo creare un mondo almeno giusto, se non perfetto, in cui scappare quando questo attuale diventava brutto e cattivo.
Mi affidò un sogno, il suo sogno, chiedendomi di coltivarlo e svilupparlo e farlo crescere e maturare e di mettere tutte le parole che servivano per farne un romanzo, il suo romanzo.
Lui aveva poco tempo, forse lo sapeva già ma aveva deciso di lottare fino all'ultimo chilometro e di regalarsi quella soddisfazione: un poeta che diventa narratore e trasfigura la sua vita, la nasconde tra le righe nello stesso odo in cui lo ha fatto con versi e strofe.
Accettai senza perdere un'istante e iniziai un viaggio con dei personaggi e delle trame non del tutto mie le quali, tuttavia, modificarono e migliorarono (almeno credo che sia così) il mio stile e il mio approccio a una qualsiasi storia che bussi all'uscio della mia fantasia.
Per quanto mi sia sforzato e abbia prodotto in grande quantità, non sono arrivato in tempo cioè prima che l'ospite indesiderato si prendesse la sua coscienza e il suo ultimo respiro.
Forse quel giorno, per qualche misterioso motivo, mi venne fuori dalle dita e dalla matita la poesia che segue. Buona lettura a voi e arrivederci a Massimo Pistoja (1958-2022): ovunque tu sia, spero che tu possa perdonarmi e aiutarmi a trovare la strada giusta.

Scrivi sopra un sasso di pietra dura
queste parole a specchio della mia paura
non è facile salire sulle spalle della cultura
ma fare senza rende la vita una sterile pianura.

Non cercatemi né qui né altrove.
Non pensatemi, né oggi né domani.
Non biasimatemi mai più di ieri:
ho davvero finito d'offender Dio.
Ho sprecato più di quel che abbia ricevuto
e ho smesso di chiedere perdono e aiuto.

Scrivi sopra un sasso di pietra dura
queste parole a specchio della mia paura:
non è facile salire sulle spalle della cultura,
ma fare senza rende la vita una sterile pianura.

Avevo tutto il necessario apparentemente
per condurre una mano ricca e vincente,
ormai neppure ho gli occhi per piangere:
infatti, in un istante, li ho chiusi per sempre.
Era ora, era scritto, era tempo che finisse.

Scrivi sopra un sasso di pietra dura
queste parole a specchio della mia paura:
non è facile salire sulle spalle della cultura
ma fare senza rende la vita una sterile pianura.

Sono l'eco di cento canzoni dimenticate
dalla punta delle falangi del suonatore
che pigia ogni volta gli stessi pulsanti
per raccogliere effimeri complimenti:
appunto è tanta, troppa fatica per nulla!

©23/10/2022 (poesia) -24/10/2025 (prosa)  Claudio Montini

venerdì 17 ottobre 2025

Due perfetti sconosciuti - seconda puntata - inedito in divenire

Chiamo io o chiami tu?

di Claudio Montini



Il sabato, nell'economia esistenziale e nella prassi dei cuori solitari di lungo corso, è un palinsesto di abitudini e doveri e riti propiziatori molto confortevole assai difficile da abbandonare: pulizie, bucato, spesa al supermercato, paciughi in cucina per chi non s'accontenta dei surgelati pronti o dell'asporto da gastronomia sotto casa, la radio o un disco a far compagnia mentre si legge il giornale o un libro da finire, da troppo tempo, sul comodino.
Specialmente al mattino o al pomeriggio: la sera ci si addormenta volentieri davanti alla televisione che prova, in ogni modo, a suggerire ogni esotica evasione scadendo, spesso, nel patetico o nel grottesco o addirittura nel pessimo gusto.
Negli autunni e inverni padani, in città come in campagna, in collina o in cima a una montagna, la cosa va così un po' dappertutto se non fosse per i cinematografi appiccicati ai centri commerciali, qualche coraggiosa sala da ballo e tardive sagre patronali o fiere natalizie: la società del tutto a portata di dito o di mano, informazioni e occasioni di svago comprese, ha perso progressivamente il gusto della comunicazione e dello scambio di idee oltre che di occhiate e battute fulminanti, di strette di mano e declinazione di nome e cognome o un semplice saluto.
Essere o avere non ha più grande importanza: quel che conta è apparire e vendere, secondo la lezione e la versione dei mezzi di distrazione di massa, cui non erano del tutto estranei.
Loro due non costituivano l'eccezione ma neppure confermavano la regola, forse non l'avrebbero fatto mai, dal momento che si erano tenuti al riparo dall'amore e dai suoi fastidi facendo come l'acqua che prende la forma del suo contenitore, nascondendosi sotto gli occhi di tutti senza sparire del tutto, aspettando il momento giusto per trasferirsi altrove ad osservare il mondo girare.
Tuttavia, se è vero, come è vero, che la goccia scava la roccia, anche il sentimento che muove il sole e le altre stelle è altrettanto capace di provocare la propria epifania, scardinando e sconvolgendo le esistenze più strutturate o più organizzate secondo la logica e la pratica: perchè il destino è qualcosa di cui si ha consapevolezza soltanto quando è alle proprie spalle, non mentre lo stai vivendo.
Dieci cifre numeriche si erano insinuate nelle trame delle loro abitudini, nei vortici dei loro pensieri, aprendo la porta di quella stanza defilata, occultata e discreta tramite la quale l'ego accede a un non luogo, fuori dallo spazio e dal tempo, chiamato anima o fantasia per comodità di linguaggio nel quale verità, finzione, desiderio e ragione si mescolano e si combinano coi ricordi dei momenti felici appena vissuti per dare vita a un fascio di linee che descrivano il migliore dei mondi possibili, parallelo a quello reale ma ideale per ritrovare il piacere della compagnia dei propri simili.
Lucio aveva scoperto il mondo dei numeri e degli strumenti per indagarlo, mapparlo, studiarlo e ne aveva fatto il suo castello, la sua corazza, la sua rocca inespugnabile.
La matematica non era affatto un'opinione, sebbene avesse gli strumenti e le teorie e la conoscenza della materia per essere in grado di dimostrare il contrario: ne aveva fatto il suo mestiere e ne aveva mutuato qualche linea guida nella propria esistenza, affascinato dal rigore e dall'ordine e dalla universalità del metodo di approccio e gestione della realtà.
Priscilla aveva un prima e un dopo nella propria vita, un fulcro o un'origine o un punto zero nella linea degli eventi che la caratterizzavano, di cui parlava pochissimo nascondendolo nel suo sorriso e nel suo aspetto minuto di eterna ragazza con una volontà ferrea e feroce: un senso della misura con il relativo istinto per l'eleganza e il ripudio dell'eccesso, in ogni ambito della vita, dentro o fuori o intorno a sé che riversava nei disegni, nei dipinti, nei colori e nei soggetti delle immagini che creava per liberare il sacro fuoco dell'arte che ardeva in lei senza consumarla.
Infatti, esse erano il veicolo per esternare e scaricare da sé la paura, l'indignazione, la rabbia e il dolore per un mondo in cui gabbie e tetti di cristallo non erano mai stati del tutto infranti: il disegno e la scelta delle tinte erano discipline ben definite e dettagliate quanto lo studio di una funzione tramite la sua derivata o lo sviluppo di una matrice vettoriale, mentre le sfumature di colore o di prospettiva coinvolgevano quanto il calcolo delle probabilità.
Eppure, nessuno dei due aveva ancora trovato il coraggio di usare per ciò che erano quelle dieci cifre messe in fila una accanto all'altra e che li identificavano come utenti di telefonia mobile, un modo come un altro di socializzare, nonostante il fatto che si fossero ritrovati l'uno nei pensieri dell'altra e viceversa non appena aperti gli occhi, in cima a tutti gli altri che reca con sé l'alba del sabato allo stesso modo in cui ciò accade nel resto dei giorni della settimana.
Erano entrambi attori di una commedia, vecchia quanto il mondo, di cui ignoravano tutto tranne l'urgenza di essere in scena a scambiarsi gli occhi e a rubare le parole ai poeti.
Inconsciamente, tuttavia, temevano di rubare tempo e fiato a un piccolo sogno appena sbocciato, avventurandosi in territori inesplorati o poco frequentati in passato.
Dopo tutto, il futuro è un'ipotesi da maneggiare con cautela anche quando è un treno da non perdere, da non lasciare andare giacché non ripassa. 

©2025 Testo di Claudio Montini 
©2021 Immagine di Orazio Nullo "People in the street" - Atelier Des Pixels collection

mercoledì 15 ottobre 2025

Interludio elegiaco? Sì, forse...

Tutto scorre
di Claudio Montini

Le mie parole rincorrono il vento,
si perdono nei meandri del silenzio.
L'oscurità non serve a nascondersi:
è sul palcoscenico degli occhi chiusi
che si recitano cose avulse dalla realtà.
La notte, semmai, farà il suo dovere:
ora dopo ora, minuto per minuto, passerà.
Da che mondo è mondo, è così che fa:
come quando eravamo atomi senz'anima,
senza orgoglio, senza amore e senza storia.
Verrà la morte ma non avrà i tuoi occhi:
perciò avrà fretta di passare oltre,
che i clienti, alla fine, sono proprio tanti
e la fila non si muove, non va avanti.

©2025 Testo di Claudio Montini
©2024 Immagine di Orazio Nullo "Dream crumbs in the eyes" - Atelier Des Pixels

 


lunedì 13 ottobre 2025

Due perfetti sconosciuti - prima puntata - inedito in divenire

Il primo appuntamento
di Claudio Montini

Venerdì erano due sconosciuti che vivevano a capolinea opposti di linee d'autobus, le cui rotte si intersecavano nel centro della città ma senza sfiorarsi: erano estranei l'uno alla vita dell'altra come turisti e indigeni, ciascuno avvolto nelle proprie aspettative così come nelle rispettive frustrazioni. 
Ciò non di meno, stavano seduti al tavolo di un bar pasticceria davanti a due tazze di cioccolata con panna e un vassoio di piccole paste frolle assortite e profumate, intenti e attenti a scambiarsi sorrisi di cortesia e aneddoti biografici per sondare i reciproci mondi, cercando ragioni o punti in comune che spiegassero perché fossero lì sul punto di scambiarsi numeri di telefono e indirizzi di casa ma vi rinunciassero, procrastinando il gesto di separarsi con una promessa di un nuovo appuntamento e una stretta di mano. 
Fuori, Novembre si ricordava d'essere il mese delle nebbie e delle prime gelate a quella latitudine a nord del quarantacinquesimo parallelo, lasciando che la foschia salisse dal fiume azzurro, per via dei Liguri e corso Strada Nuova, fino a piazza Cavagneria per dilagare in piazza Duomo fino a via Bossolaro facendo di Pavia un sobborgo della vecchia Londra, quella di Chesterton o di Conan Doyle o di Dickens, se le luci al neon delle insegne e dei lampioni non si fossero accesi con la lentezza inesorabile del crepuscolo. 
Al barista Fabio, vecchio volpone del cappuccino e sapiente ruffiano, smaliziato ed esperto quanto basta intenditore di spiriti umani e alcolici, sarebbe stata più che sufficiente una cinica occhiata per distinguere tra simpatia e infatuazione, prendendo immediatamente le distanze da entrambe le cose una volta date le spalle a quelle altrui o calata la saracinesca del locale per tornare a casa. 
Ma nessuno chiese il suo parere, per fortuna: due stelle avevano appena deviato dalle rispettive orbite per ruotare intorno a un nuovo centro di gravità, senza alterare il tessuto dello spazio e del tempo, semplicemente ignorandolo come sempre accade ad ogni svolta della vita o ad ogni evento non atteso né previsto. 
Approfittando dei tovaglioli di carta con il marchio del caffè torrefatto alle porte della città, si scambiarono le rispettive coordinate per rintracciarsi e, finalmente, si strinsero la mano. 
Quel primo contatto di pelle e di carne così sano, sodo, sincero e caldo, vivo, energico senza essere eccessivo esprimeva, a entrambi, la chiara intenzione di infondere fiducia in chi lo avesse ricevuto al di là dell'espressione del volto e dello sguardo, come se questi ultimi fossero accessori della maschera o del travestimento o del costume indossato per l'occasione. 
Intanto, grazie a quel gesto, nuvole di farfalle si erano liberate autonomamente nello stomaco e nell'anima dei due senza, però, prendere ancora la via della testa per suonare campanelle o altre melodie negli orecchi. 
Vincendo con un caldo sorriso le sue rimostranze, lui saldò il conto e le aprì la porta offrendole il braccio come facevano le coppie del secolo scorso: lei ricambiò, appena appena piacevolmente confusa e felice nello stesso tempo, facendo scivolare la propria mano sull'avambraccio fino ad avvolgerlo e a stringergli di nuovo la mano mentre uscivano dalla scena del primo appuntamento, dopo anni spesi a non farsi soverchie illusioni o a viverle tra le righe e le parole, così pure come tra le ombre e le luci proiettate sullo schermo, piccolo o grande che fosse. 
La sera era scesa in fretta come la densa umidità ghiacciata che presto sarebbe fiorita sui tetti e sulle ringhiere e le maniglie dei portoni, facendo del basolato o dei sampietrini di porfido o del selciato insidiose superfici per tutti i tacchi vertiginosi: ma quella non era roba per lei né per lui. 
C'era, tutto intorno a loro, un'aura di energia nuova che li sospinse, quasi veleggiassero sospesi da terra, alle rispettive e dirimpettaie fermate d'autobus: ad ogni passo, uscivano, insieme alle nuvole di fiato caldo, nuovi aneddoti e citazioni di canzoni e rivelazioni di gusti cui non avevano pensato prima ma ora parevano urgenti e indispensabili a comporre il mosaico di sé, quello che rimane impresso nella memoria e lavora coi sentimenti umani per eccellenza. 
Lui attese che salisse, si sistemasse e la salutò con la mano aperta che si faceva cornetta del telefono, tornando immediatamente a palmo aperto. 
Lei rispose con il pugno chiuso ma col pollice ben disteso verso l'alto, mentre le porte a soffietto si chiudevano e il motore accelerava per proseguire la corsa. 
La poteva pensare al sicuro, adesso o almeno fino a destinazione, poiché anche i malintenzionati a quell'ora pensavano alla cena oppure a trovarsi un caldo riparo per la notte. 
Ora poteva rimettere le mani in tasca e raggiungere il lato opposto della via ad attendere, insieme a una manciata di altri pavesi, di tornare ad asserragliarsi nel proprio nido o nel proprio guscio come piaceva fare a loro, lasciando che il tempo o le le mode o il mondo stesso passassero di nuovo di lì: esattamente come l'autobus e la sua linea circolare.

©2025 Testo di Claudio Montini 
©2021 Immagine di Orazio Nullo "People in the street" - Atelier Des Pixels collection

sabato 11 ottobre 2025

Da solo... di Andrea Stefanet



Nuova e sorprendente produzione di Andrea Stefanet, cantautore per passione e artigiano per professione, dal respiro internazionale nel sound elegante e ben tessuto o ricamato intorno a un testo mai banale, penetrante e lucido come una lama che porta vita e luce nel cuore di chi ascolta. Se volete farvi del bene, ascoltate e riascoltate per credere. Anche Roma si presta, da par suo, ad accrescere il fascino di questa ballata molto west coast ma decisamente più affascinante, poichè dimostra che anche in italiano si può fare, si può sognare, si può fare musica affatto di seconda scelta, anzi...

mercoledì 17 settembre 2025

Sentenze da scrivano di campagna - episodio 2

Uno sputo in un occhio
di Claudio Montini

La verità delle cose è nascosta nei dettagli, nelle pause, tra le righe e nelle sfumature colte durante un battito di ciglia, come una frase banale ma furi luogo oppure un'ardita allusione o uno sciocco doppio senso.
C'è chi la vede e chi no: poi ci sono gli altri.
Quelli che si contentano di frettolose spiegazioni, adottando la versione più comoda, quella più rassicurante, quella moralmente più accettabile.
Vale a dire che se la verità è brutta, sporca e cattiva tanto da fare paura e ribrezzo, si finisce per costruirne una alternativa, più morbida per certi aspetti, che non atterrisca più di tanto e che si possa dimenticare in fretta una volta messo sotto chiave il presunto colpevole: anche senza prove schiaccianti o la cosiddetta "pistola fumante".
Tutto il resto è noia, morbosa noia: anche per le vittime che non possono parlare né ritornare in vita a reclamare giustizia o, almeno, tirare uno sputo in un occhio ai propri carnefici.

©2025 testo di Claudio Montini
©2017 Immagine di Orazio Nullo "Flying seed" Atelier Des Pixels gallery

sabato 16 agosto 2025

Letti & Piaciuti: OMICIDIO ALLA MARINA DEI CESARI di Gabriele Prinelli - Gemini Grafica Editrice (2025)

COME SOLO LE BELLE STORIE SANNO FARE

di Claudio Montini


Finalmente c'è del bello e del nuovo nell'asfittico e sovraffollato panorama letterario italiano, ricco di titoli e parole e iperboli e altre stravaganze spacciate per cultura del terzo millennio: tutta roba già vista o sentita, rimasticata e di nuovo sputata malamente, riscaldata o rivisitata con abbondanti dosi di presunzione, superbia e alterigia culturale da professorini compunti, impomatati e incipriati ancora convinti di portare la luce nei campi e alle masse operaie. 
OMICIDIO ALLA MARINA DEI CESARI -Il giallo dell'estate (Gemini Grafica Editrice, 2025) di Gabriele Prinelli è il piccolo gioiello che non può mancare alla vostra biblioteca, l'eccezione che conferma la regola, la storia o la fiction che stavate aspettando, il romanzo apparentemente leggero e d'evasione che invece è ricco e gustoso dal punto di vista dello stile e dei contenuti, poiché si legge senza fatica a tutti i livelli d'istruzione e si “vede” come se si fosse di fronte a uno sceneggiato televisivo che va in onda davanti ai vostri occhi parola dopo parola, riga dopo riga, pagina dopo pagina senza perdersi in voli pindarici, minuziose descrizioni ambientali o altri stravaganze sintattiche o semantiche o linguistiche. 
Infatti l'autore, milanese di nascita e lomellese d'adozione per amore, della sintesi tipica dei poeti capaci di illustrare scenari immensi e complessi anche con una sola frase, del ritmo serrato proprio dei giornalisti e dei cronisti dei tempi andati (vale a dire quelli in cui quella professione era ancora una cosa seria), della cura e della precisione linguistica e grammaticale intesa come scelta artistica di esprimersi nel miglior italiano possibile, riesce a fare di tutto ciò i propri punti di forza e a suscitare fascino, attenzione e interesse crescenti verso l'opera sua, pur maneggiando temi ed elementi e “materie prime” tipiche e peculiari del romanzo “noir” e dell'intera letteratura “gialla” presente, passata e mondiale che, infine, risulta essere protagonista occulta o “spalla” ispiratrice del personaggio principale. 
C'è un omicidio, quello di una giovane donna rinvenuta cadavere a bordo di natante di lusso alla fonda presso il porto di una cittadina adriatica e marchigiana; lo yacht in questione appartiene a un facoltoso industriale e uomo d'affari, a sua volta, amicissimo di un esponente politico nazionale già catapultato dal proprio partito in quella regione e da quel collegio elettorale “miracolosamente” approdato al parlamento della Repubblica Italiana. 
C'è la presunta quiete della provincia italiana che viene, dunque, messa seriamente in discussione e l'avvio delle inchieste, giudiziarie e giornalistiche, interessate più al ripristino del quieto vivere o alla condanna morale preventiva tanto di vittima quanto dell'ignoto carnefice che alla ricerca di una qualche verità, legale o fattuale. 
Quest'ultima, per altro, come tessere di un mosaico divelte e portate a spasso dalle correnti del Mare Adriatico, si muove alla deriva lambendo altri territori d'indagine e di scandalo rispetto all'evento delittuoso accaduto alla Marina dei Cesari di Fano (PU), per farvi ritorno grazie a un disinteressato ma attento osservatore, un “umarell” da cantiere squisitamente letterario, poiché già bibliotecario ma ora in pensione, il quale, forte delle sue letture e degli insegnamenti che ha ricavato da esse oltre a una serie di capoversi notevoli che si è appuntato mentalmente e fisicamente, unisce i puntini del disegno cifrato e risolve il rebus mettendo in fila dati, eventi ed ipotesi. 
Come Agatha Christie docet nel finale di Dieci Piccoli Indiani, egli affida la dimostrazione della propria tesi sulla dinamica del delitto a una lettera anonima, che il direttore de Il Resto del Carlino non leggerà mai ma che aiuterà le forze dell'ordine a risolvere il caso, limitando i danni collaterali per i sopravvissuti e una sorta di giustizia tardiva per la vittima. 
Insomma, tutti guadagneranno più di quel che rischiavano di perdere e il quieto vivere stabilmente tornerà a dominare la Marina dei Cesari in Fano (PU). 
Dunque, in OMICIDIO ALLA MARINA DEI CESARI -Il giallo dell'estate (Gemini Grafica Editrice, 2025) di Gabriele Prinelli, gli ingredienti per un buon giallo leggibile e godibile in tutte le stagioni ci sono tutti: ciò che lo rende una meravigliosa, piacevole e divertente novità è la sua scorrevolezza narrativa schietta, misurata, elegante e chiarissima, mai banale né scontata e neppure stravagante a titolo gratuito, che non distrae il lettore ma lo invoglia a non staccarsi dalle pagine. 
Inoltre è notevole e deliziosa la precisione chirurgica con cui mette in mostra l'ipocrisia manichea, la superficialità, il cinismo imbarazzante congeniti nella società italiana, a partire soprattutto dai livelli intermedi e andando a salire a quelli dirigenti, cui non si oppone ma si adegua il mondo dell'informazione ormai troppo più attento al contenitore che ai contenuti e, di conseguenza, meno che mai alla verità nella ricostruzione delle dinamiche dei fatti. 
Vale a dire che le domande da porsi sono evidenti e qualcuno ci prova a interrogarsi e interrogare ma, per evitare di calpestare calli importanti o avventurarsi in un campo minato senza mappa o per altri interessi o tornaconti personali, non si sforza di aspettare risposte o di andarle a cercare come invece insegnano, a modo loro, tutti i capolavori della letteratura del passato e i loro personaggi di punta che Prinelli, lettore a sua volta, adopera con garbo e maestria per spalleggiare i ragionamenti del suo antieroe e solutore più che abile di enigmi. 
Il lavoro che l'autore ha fatto sull'idea, prima, sulla sceneggiatura, poi, sul testo, infine, è opera di cesello da orafo geniale alla Benvenuto Cellini, di sottrazione e condensazione e distillazione di essenza rara da raffinato e abile profumiere d'altri tempi: esso dona ritmo serrato e corpo e spessore di tipo teatrale a tutto l'impianto narrativo e ai personaggi, minori e maggiori, senza stravaganze né espedienti retorici o eccessi descrittivi. 
In ultima analisi, OMICIDIO ALLA MARINA DEI CESARI -Il giallo dell'estate (Gemini Grafica Editrice, 2025) è un romanzo che si legge con piacevole agilità e si “vede” nella mente con netta immediatezza sin dalle prime battute grazie alle parole scelte con cura dall'autore, Gabriele Prinelli, per sentirsi accanto a lui dietro la macchina da presa o presso una quinta del palcoscenico sul quale ha allestito questo giallo dell'estate, buono da leggere e gustare in tutte le stagioni dell'anno poiché capace, come pochi ultimamente, di materializzarsi nel lettore senza ansia e senza sforzo e senza altre noie ad ogni volgere di pagina lasciando soddisfatti e sazi come solo le belle storie sanno fare.

©2025 Testo e immagine di Claudio Montini 

venerdì 8 agosto 2025

Una cosa bella nella vita: una passione mai sopita

Contro l'oblio dell'età

di Claudio Montini

Non ti chiedo come stai
ci penso sempre e lo faccio mai.
Mi accontento di sapere che ci sei,
sempre più lontana di quanto vorrei.
Conosco il numero ma non ti chiamo:
se non riuscissi a dirti che ti amo,
metteremmo in fila solo i nostri guai.
A volte, davvero, mi chiedo come fai
ad essere la parte migliore di me,
cioè quel che non ho saputo dare a te,
a correre incontro alla vita
a braccia aperte e faccia divertita,
così come viene, un giorno alla volta.
La questione non si è mai risolta
rispondendomi che non sono fatti miei:
se ascoltasse, al cielo domanderei
che tu possa incontrare altri due occhi felici
di condividere ciò che sei, fai o dici.
Sarei il primo a congratularmi,
pur sapendo che rimarrà a consolarmi
un ricordo, un sorriso, forse una poesia
e poco altro che l'oblio dell'età si porterà via.

©2025 testo di Claudio Montini
©2024 Immagine di Orazio Nullo  


domenica 3 agosto 2025

Ortiche di Andrea Stefanet dall'album "Il rumore del vento"


Quando il Nebraska di Springsteen e il basso Piemonte di Andrea Stefanet e soci si incontrano, si somigliano e non hanno alcunchè da invidiarsi perchè sprigionano la stessa energia creativa! Ascoltare per credere!!
Claudio Montini

mercoledì 9 luglio 2025

L'ombra in fondo al viale - Notturno, seconda stagione: puntata n. 23

Troppo tardi per volerti bene

di Claudio Montini

C'era un'ombra in fondo al viale di una casa che, tanto tempo prima, era stata sua e che aveva lasciato senza rimpianti, certo di non doverci mai più tornare.
Eppure, era di nuovo lì a cercare qualcosa che credeva di avere perduto o dimenticato, un dettaglio o un accessorio o un ricordo, forse un nome o un volto.
Avrebbe potuto domandare un'indicazione, un suggerimento, un'informazione a quell'ombra dal profilo umano, immobile nella penombra del viale, al limite della sua vista però difficile da evitare poiché coincidente col punto focale della prospettiva: ma non aveva alcuna intenzione o voglia di farlo perché si trattava esattamente dell'appuntamento con l'ignoto che, già fissato a sua insaputa fin dalla nascita, non sarebbe stato procrastinato.
La discesa, del resto, era già cominciata e quel viale dei passi perduti ne faceva parte.
Si dice che l'assassino, non si sa per quale malsano ragionamento, ritorni sul luogo del delitto e si mescoli ai curiosi, domandando opinioni e mendicando notizie.
Sarebbe stato meglio per tutti, se fosse partito di nuovo sebbene il futuro fosse ormai alle spalle e non potesse pare altro che dimenticare il male fatto, anche inavvertitamente, o rimpiangere il bene ricevuto, inaspettatamente o immeritatamente, ma mai abbastanza ricambiato.
Partire?
Per andare dove?
Per uscire e poi rientrare?
Per separarsi e quindi allontanarsi?
Per chiudere un portone, un capitolo, una storia e ricominciare, con la medesima faccia di bronzo, a commettere gli stessi errori altrove?
Senza l'ombra di un pentimento, di un ripensamento, il graffio di un rimorso?
Sentiva di essere una particella, dotata di massa ed energia, in balia di forze ostinate e contrarie e imponderabili, ormai non del tutto ignote anche alla scienza: tuttavia la figura irriconoscibile in fondo al viale, fece cenno di avere le risposte tanto agognate.
«Non ho più paura di te, anche se non ti conosco e, quasi certamente, non conoscerò il giorno in cui arriverai a prendermi per mano.
Hai seguito tutte le mie orme e, talvolta, hai camminato al mio fianco.
Non mancherò al nostro appuntamento, è già stato dato e fissato: ci arriverò, come al solito, per la via sbagliata o quella più complicata ma, sicuramente, quella più lunga ad ogni costo.»
L'ombra in fondo al viale, adesso di casa sua, indicò la discesa e il ponte d'argento e il cancello di ferro dorato in fondo ad essa, accettando la sfida.
«La vita, a volte, è una barzelletta scritta male e raccontata peggio: ti lascia lì dove sei, tramortito o stecchito, poco le importa della differenza, senza fare ridere oppure fare piangere nemmeno gli sciocchi o gli ignoranti, gli intelligenti o i sapienti, gli spiriti semplici e quelli sofisticati.
Rimpiango i tempi in cui c'era ancora la pietà.»
Intanto il tramonto introdusse la sera che, a sua volta, cedette il posto alla notte la quale, tuttavia, si guardò bene dal portare consiglio o sogni e si dileguò alle prime luci dell'alba, insieme alla luna e tutte le altre stelle.
Per tutto il tempo, almeno fino ai primi chiarori del giorno, l'ombra in fondo al viale del tempo perduto non fece una piega: sapeva bene fare il suo mestiere e recitare la propria parte fino in fondo, senza tentennamenti, dal momento che non è necessario correre ma basta arrivare puntuali.
L'orologio senza lancette squagliato come un gelato sullo spigolo del tavolo, gli alberi spogli, la città vuota e i burattini senza fili, senza volto, senza prospettive dichiararono conclusa la ricerca e passarono davanti ai suoi occhi mentre la sabbia della clessidra scendeva imperterrita, ignara oppure perfidamente consapevole di essere prossima ad esaurirsi.
Il figlio di una tempesta ormonale si mise la giacca, s'aggiustò il nodo della cravatta, abbottonò i polsini della camicia e prese il cappello non prima d'aver spazzolato a lucido le scarpe, allacciate con cura e pazienza: non aveva altro da fare che muovere qualche passo lungo il viale.
Lasciò un foglio bianco, senza segni, intonso sul tavolo e una matita ben appuntita a beneficio, così pensava, di chiunque si fosse trovato a fare a meno di lui.
Dopo tutto, in ogni pagina bianca c'è una poesia nascosta e, se pensi con amore e ami con intelligenza, non faticherai a leggerla.
Altrimenti lo farà l'ombra in fondo al viale di casa tua, mentre tu sarai già passato oltre e sarà troppo tardi per volerti bene.

©2025 testo di Claudio Montini
©2015 Immagine di Augusta Belloni condivisa dal profilo Facebook

sabato 5 luglio 2025

Sentenze da scrivano di campagna - episodio 1

Eternamente irraggiungibile... 

di Claudio Montini

Un manipolo di eroi non cambia il corso degli eventi.
Avete voglia a scandire slogan, seccandovi le fauci e graffiandovi la gola, a organizzare marce e vertici e raduni: la verità è amara ed è una sola. 
Quale? Siete ancora così ingenui e sprovveduti da non aver compreso alcuna lezione dalla Storia?
La rivoluzione dei "se" e dei "ma", senza copertura finanziaria, non si fa e non si farà finché alcun gettone non cadrà nell'apposito cassetto. 
Le belle parole sono munizioni senza ogiva né polvere da sparo: si perdono nel vento come il fumo del tabacco che brucia tra le dita, mentre il petrolio riempie un barile dopo l'altro, il rifiuto speciale una buca in una terra ignara, l'uranio arricchisce l'ennesimo tiranno e signore della paura.
Intanto, la fame e i medicinali scaduti insieme a quelli negati per calcolo economico fanno piazza pulita del superfluo materiale biologico esausto, difettoso, in esubero oppure obsoleto.
In un libro vecchio quanto il mondo e, mai come oggi abusato e misconosciuto, un saggio sconosciuto scrisse che c'è un tempo per ogni cosa, sotto al cielo che sovrasta gli uomini.
A lui non piaceva il suo tempo, a me non piace questo che stiamo vivendo: eppure, entrambi, dopo millenni, stiamo ancora cercando di rintracciare Dio per chiedergli conto del peccato che avremmo commesso per meritarci un simile castigo.
Che abbia spento il telefono? Sembra eternamente irraggiungibile...

©2025 testo di Claudio Montini
©2021 immagine di Orazio Nullo "Partnership" da Atelier Des Pixels gallery

lunedì 30 giugno 2025

Un omaggio per il giorno dei santi Pietro e Paolo...

Un ricordo di "UNA PASSIONE DI FAMIGLIA"

di Claudio Montini
 Anche se il giorno dei santi Pietro e Paolo si è già concluso, mi ostino a celebrarlo condividendo con voi un piccolo brano tratto da "UNA PASSIONE DI FAMIGLIA" , volume 11 della serie "GLI ATOMI - micro romanzi per chi va di fretta" autopubblicato un po' di anni fa. Si tratta di una storia del tutto vera anche se interamente sognata dal sottoscritto, durante un brevissimo ricovero ospedaliero e un'esperienza di pre-morte di cui rendo conto nel libro stesso.

[...]
Mi guardavo intorno e non trovavo risposte alle incongruenze, ai dubbi, alle dissonanze di quell'esperienza che interessava i cinque sensi ma non poteva essere vera.
"Sono finito in un altra dimensione? Sicuramente fuori dal tempo e dallo spazio ordinario...
Come in un teatro di posa, dove i registi realizzano i sogni che hanno immaginato...
Eppure, io li vedo bene e ogni cosa è al suo posto nel cortile, persino i profumi e le voci e le tovaglie...
Tutto somiglia tanto a quella serata della fine di giugno di tanti anni fa, non avevo ancora la patente per guidare l'automobile...
Avevo il motorino ma non avevo ragazze da andare a trovare...
Ma sì, quell'estate in cui il giorno dei santi Pietro e Paolo era ancora festa nazionale e comandata, prima di essere abolita dal governo, insieme a tante altre l'anno successivo, addirittura con la benedizione dei preti per via del nuovo Concordato..." pensai, nonostante il sonno profondo.
No, non era per quello che ricordavo l'episodio: era, piuttosto, per l'aura di terrore che circondò la figura di mia madre prima, durante e dopo la serata e che ignorai volutamente per incosciente ottimismo d'adolescente.
La cena andò in onda al sabato e mia madre Elda, che lo seppe solo il venerdì pomeriggio, era già pronta alle esequie del consorte per lunedì, martedì al massimo.
Non erano passati che cinque mesi dal terzo infarto consecutivo che lo aveva colpito e lei, che avrebbe voluto rinchiuderlo sotto una campana di vetro mobile su cuscino d'aria come un hovercraft, si convinse che quella sarebbe stata l'ultima cena di suo marito.
Carlo, infatti, si esibì nel percorso completo e non si lasciò sfuggire una sola portata: antipasti misti di salumi e sottaceti, polenta e frittura con straccetti di lombo in umido, polenta e gorgonzola, scaglia di grana padano e torta gelato, innaffiando il tutto con una bottiglia intera di lambrusco imbottigliato un mese prima, giusto una settimana dopo essere arrivato in damigiana dai dintorni di Reggio Emilia grazie all'autotreno di un'attempato autista venuto a caricare da noi un carico di ritorno, mais destinato agli allevamenti della terra del parmigiano reggiano e del prosciutto crudo, per non rientrare senza remunerazione.
Si usa, nel mondo dell'autotrasporto, evitare andate o ritorni senza carico poiché non viene né fatturato né rimborsato dalle aziende committenti; allora, si cercano o si accettano carichi per consegna verso la strada di casa: in questo caso, a quel camionista erano toccate due consegne di grano tenero presso un mulino pavese e altrettanti “ritorni” di mais per uso zootecnico.
Non ho mai saputo come sia andata, come abbiano familiarizzato: probabilmente avranno parlato di trattorie e tradizioni culinarie, fatto sta che la seconda volta, dalla cabina del camion scesero due damigiane e salirono due scatoloni di confezioni di riso, una di Arborio e una di Carnaroli, che mio padre usava regalare sotto le feste di Natale ad amici e clienti di riguardo.
Forse già sapeva che il gran finale non era tanto lontano e voleva levarsi uno sfizio, voleva godersi la famiglia nel miglior posto nel quale quel concetto si esprime con generosità e voluttà: a tavola, davanti a piatti pieni e forchette pronte e bicchieri colmi.
Conoscendo i suoi polli, forse, ci stava pensando da parecchio ma si era ben guardato dal lasciarselo sfuggire di bocca; aveva scelto con cura le parole e le mosse da fare e da ispirare; aveva atteso il momento giusto e tutti recitarono, ignari, secondo il copione che da solo aveva immaginato.
Circondato anche da figli e nipoti e un paio di amici, proprio di quelli là così discreti ma presenti e cari più dei familiari, trascorse una bella serata beata e dormì sereno quasi senza russare; il giorno dopo andò pure a messa e trascorse il pomeriggio a fare fatture e registrare carichi e scarichi: la fine arrivò soltanto tre anni e mezzo dopo, in un letto d'ospedale e non in quello di casa.
Riteneva che l'agonia di un genitore non fosse un bello spettacolo per i propri figli e, d'accordo col medico di famiglia, volle fare un'ultima cosa per loro: farsi ricoverare affinchè non ne fossero spettatori impotenti.
©2020 - 2025 Testo di Claudio Montini diritti riservati
©2020 Immagine di Orazio Nullo diritti riservati

domenica 1 giugno 2025

Pro memoria da "FUORI TEMPO MASSIMO" di Claudio Montini (Independently published - 2024)

Una bibita fresca

Stava bene lì, finalmente in equilibrio, con la confusione e le voci che si sovrapponevano ai grilli e alle cicale che, alla faccia dello smog e dei semafori e del traffico, ripetevano senza sosta il loro concerto dedicato a madre natura con le coreografie dei piccioni e dei passeri e delle rondini.
Aironi, ibis e cavalieri d'Italia preferivano il mare a quadretti: dei nidi umani e dei loro inquilini non sapevano che farsene e non si fidavano affatto.

Peccato che il giorno vada a finire, scivolandoci come sabbia tra le dita. Non ho mai avuto un cuore da leone accanto a una donna che mi piace, cui vorrei dedicare tutto il mio tempo, cui vorrei dare tutto il mio piccolo mondo, cui vorrei costruire una casa sicura in cui non temere alcun male. 
Per darsi un contegno e togliersi dall'imbarazzo di uno sguardo profondo in cui, per un istante interminabile, le loro anime si erano scambiate di posto e avevano scorrazzato dietro le loro maschere pubbliche, Massimo aprì la Moleskine e gli consegnò tutte le parole di questo pensiero mentre Chiara intratteneva le pettegole di quartiere con cenni e saluti, secondo un codice segreto e ben collaudato, non senza richiamare all'ordine il pargolo fischiando come un arbitro di basket cavilloso ad ogni sua eccessiva esuberanza. 
Infilava indice e pollice ai lati della bocca, il pieno ai polmoni e via: Andrea l'avrebbe riconosciuto tra mille e altrettanti si sarebbero voltati per vedere chi fosse il detentore di quel perentorio richiamo; per alcune delle presenti non era una cosa elegante, non era da donne ma da pastori, per altre era una alternativa all'urlo a gola strozzata che terrorizza anche la Cina, per tutti era una tecnica difficile o impossibile da replicare, ivi compresa la successione di gesti con cui comunicava a distanza la sua inappellabile volontà.
Riposta l'agendina, la tasca opposta vibrò e suonò: il telefono cellulare lo avvisava dell'appuntamento con la dottoressa, il medico che aggiusta i cervelli sfasati. 
Meno male! Capita a fagiolo! Non sapevo proprio cosa dire per rompere il silenzio senza scadere nei soliti cliché, i migliori anni della nostra vita, che lavoro fai, come ti trovi, chi ti apre lo sportello, cosa fai stasera o domani o nel fine settimana... 
Scrutò lo schermo fingendosi accigliato e sorpreso; poi la guardò per scusarsi, inclinando la testa da un lato, assumendo una buffa espressione e ricorrere a una frase di circostanza. 
Chiara sorrise maliziosa quanto mai e lo prese in contropiede. 
«Il dovere chiama! L'ora d'aria è finita, il timeout è scaduto...»
«Come dici? Oh, questo? No, no... 
Non è come pensi, no... 
Del resto, io sono un'uomo libero, te l'ho detto quest'estate e l'inverno, poi, fa di me un uomo vegetale...  
Forse è per questo che sto bene qui, al parco: anzi, oggi sono stato meglio di tante altre volte...»  
«Le suore dell'asilo sostenevano che stare al sole fa bene al calcio delle ossa, specie nei bambini, ma il sole di primavera fa bene ad ogni cosa: perchè risveglia la vita, i colori...» 
Gli ardori mai sopiti degli amori inconfessati, senza fortuna e senz'altra consolazione che la fantasia, l'immaginazione. 
Eppure oggi siamo stati più vicini che mai: mi accontento di questa piccola fiammella, questa tremula illusione. 
«Se lo dicevano già loro, deve esserci del vero: vorrà dire che, da oggi in poi, ci verrò più spesso per correre ancora il rischio di incontrare così tanta bella gente.»  
A un orecchio distratto poteva sembrare una frase da romanzo d'appendice, invece lui si rese subito conto d'essere stato tanto sincero quanto non lo era stato mai: si alzò, salutò da lontano il bimbo e strinse la mano di lei con un impercettibile inchino che non mancò di turbarla piacevolmente; l'affettazione da primo novecento italiano era di gran lunga la sua favorita rispetto alla grettezza gratuita contemporanea, specialmente quando veniva scambiata per trasgressione o, peggio, per naturale evoluzione dei costumi.  
Non era una vergine di ferro, non era più da un pezzo, non c'era alcun aspetto dell'intimità e dell'umanità che fosse ignoto, se non altro per sentito dire: tuttavia, c'è modo e modo per gestirli, per vivere le pulsazioni naturali.  
Distolse lo sguardo dal controllo del nipote giusto il tempo per apprezzare la camminata e le spalle e tutto il resto dell'uomo, non più ragazzo con la chitarra, che si allontanava di nuovo in un'altra direzione incontro a un'altra donna.  
Era già stata protagonista di un simile film, non una volta sola e non aveva voluto credere alle chiacchiere proprio di una delle “sentinelle” che, anche oggi, avevano stenografato il labiale e non solo gesti e atteggiamenti.  
Chi se ne importa! 
A me basta il mio Andrea, che stia bene e sia felice: quando il suo campanello suonerà, si libererà della vecchia zia e si scorticherà il cuore come meglio crede... 
Nel frattempo, però, si accettano miracoli...  
Cioè, anche alla zia piacerebbe provare di nuovo...  
Se è vero, come è vero, che nulla accade per caso... 
Stiamo a vedere: domani è un altro giorno!
«Dov'è andato il signor Massimo, zia?»
«Aveva un impegno, un appuntamento che stava per scordarsi ed è corso a casa a prepararsi.» 
«Peccato. Volevo salutarlo. Anche lui ha una bella stretta di mano: sembra uno sincero, uno a posto come dice il nonno. Mi è quasi simpatico.»  
Anche a me... Anzi, di più... 
«Se ti può consolare, però, ha detto che è stato bene qui, sulla nostra panchina.
Ha visto tanta bella gente e tornerà ancora.» 
«Ah sì? Bene! Allora potremmo venirci anche noi più spesso, no, cioè, io volevo dire che ci puoi venire anche quando sono via, dai nonni, così voi due potete parlare liberamente... 
Così potete dirvi tutte quelle cose che i bambini, come me, non dovrebbero ascoltare o imparare dai grandi.» 
Era serio e placidamente consapevole delle parole uscita dalla sua bocca, il piccoletto, tanto che incassò lievemente la testa nelle spalle e allargò le mani coi palmi all'insù tenendo stretti i gomiti ai fianchi, per sottolineare la ragionevole ovvietà del suo pensiero e strappando un sorriso cordiale alla zia. 
Davvero questo “angioletto” ha soltanto cinque anni? 
Alla sua età, per me, il mondo degli adulti era un pianeta fuori dal sistema solare... 
E nemmeno sapevo cosa fosse un pianeta! 
«Grazie per il suggerimento, Andrea: ti prometto che ci penserò sopra. A me è venuta una gran sete: andiamo a vedere se Oreste ha già tirato fuori la macchina della menta e del tamarindo?»
«Zia... Ma tu sai leggere anche nel pensiero!! Sei la più bella zia del mondo, dai andiamo, andiamo che ho sete anche io!» 
Magari mi lasciasse anche prendere un sacchetto di patatine... 
Quelle con la sorpresa dentro... 
Quelle che nonna non vuole perché dice che mi rovinano l'appetito e i denti e sono troppo unte e...
Uffa! 
Ma adesso dovrebbe essere ora di merenda, no? 
Ecco: le offro anche a lei così ne prende due sacchetti... 
«Invece tu sei proprio una piccola volpe!
Mi fai leggere solo quello che ti fa comodo, caro il mio bel bricconcello!
Coraggio: dammi la manina e, un piede dopo l'altro in men che non si dica, saremo al cospetto dell'omino della caffettiera.»
Con due folti baffi nerissimi, il viso dai lineamenti regolari e vagamente orientali, retaggio di antenati della Magna Grecia, il cappello e la camicia candidi, la cravatta corta sulla pancia con una caffettiera stilizzata ben in vista, un sorriso sempre aperto e pronto, il gestore del punto ristoro pareva essere uscito dagli schermi della televisione della terzultima parte del ventesimo secolo, al termine di un filmato pubblicitario con protagonista la celeberrima moka piemontese.
Chiara aveva sempre avuto quell'idea e Andrea l'aveva sposata così come si accettano le regole della casa che ti ospita: dopo un po' di tempo, le si danno per scontate.
Era andata così anche per il manovale siciliano che non era più tornato oltre lo stretto di Messina, dopo aver regalato quindici mesi di gioventù con le stellette allo stato.
Il sabato e la domenica, comprese le feste comandate, appariva con un motocarro attrezzato persino con una ghiacciaia, oltre a un variegato assortimento di dolciumi e noccioline e bibite; il resto della settimana si dava da fare con calce e mattoni.
Qualcuno cominciò a domandargli di provvedere al pranzo dei colleghi di cantiere e finì per lasciare secchio e cazzuola: la cosa non gli dispiacque affatto e gli parve di aver trovato la sua strada per il successo.
Però, i cantieri si fecero sempre più rari e qualcun altro gli suggerì di piazzarsi ogni giorno in quel parco, accontentandosi di soddisfare le piccole e grandi golosità dei frequentatori: alle carte e alla sicurezza avrebbe provveduto qualcun altro ancora.
Oreste si adattò, non domandò ma aiutò chiunque si affacciasse alla soglia del chiosco con la benedizione dei “santi in paradiso” che, per qualche ragione a lui tuttora ignota, si erano messi in capo di tutelarlo: quella era e doveva rimanere una zona franca, un'oasi nel deserto d'asfalto e sampietrini, un momento di respiro nella lotta per intascare uno spicciolo in più del proprio vicino. 
«La vita è stata generosa con me: ho fatto sempre ciò che mi è piaciuto senza mai annegare nel guano; perchè dovrei essere avaro io con gli altri che stanno messi peggio di me? 
Hai sete? Hai fame? Non hai un soldo in tasca per pagare? 
Fa niente: però dimmelo prima, dimmelo subito, non fare il furbo, non ci provare nemmeno, non ne approfittare. 
Una guerra tra poveri può solamente finire male, senza vinti né vincitori e tutti più straccioni di prima. 
Il modo per saldare i debiti si manifesterà da sé ma, con buona probabilità, mi sarò dimenticato persino d'averti aiutato. 
Giù, da me, dalle mie parti, si dice che bisogna fare il bene e poi scordarselo.»
Questo discorso Oreste lo ripeteva spesso a chi gli contestava una eccessiva attenzione verso i poveri e gli emarginati. 
Per quanto ne sapeva Chiara, che curava da anni la sua contabilità, i crediti generati a quel modo erano rientrati fino al centesimo, ciascuno coi propri tempi: ma aveva saputo anche che l'intero ammontare, arrotondato per difetto, veniva girato alla parrocchia dirimpettaia per le opere di carità ogni mese con una puntualità svizzera. 
Perchè anche lui era passato attraverso quei momenti difficili e duri, sapeva perfettamente cosa si provava e quanto coraggio ci volesse per chiedere aiuto.

©2024 Testo di Claudio Montini - estratto da FUORI TEMPO MASSIMO (Independently published)
©2024 Immagine di Orazio Nullo

Il volume è disponibile in formato elettronico e cartaceo su amazon.it e amazon .com

                                                                    

domenica 25 maggio 2025

Da "Cose che capitano ai vivi" (Gemini Grafica Editore - 2023)...

Indorare e addolcire pillole amare
di Claudio Montini

 Imitare l'amore e andare incontro alla vita senza domandarsi quando sarà finita: queste, in fondo, sono le cose che capitano ai vivi e sono anche quelle che lasciano ai poeti e ai narratori il compito di indorare e addolcire pillole e bocconi amari da ingoiare, lungo tutto il transito nella valle di lacrime.

Sento il profumo del legno e della grafite,
intanto il foglio si spalma sotto le dita.
Non torno indietro, non temo le salite
ma vorrei riposare un poco: corro da una vita!
Da bimbi, piangevamo e ridevamo per niente.
Da ragazzi, saltavamo come grilli fossi e barriere.
Da adulti, rotoliamo su vetri rotti anime scontente
per treni perduti e ombre alla porta tutte le sere.
Da questa confusione c'è una sola via d'uscita:
una cesta piena zeppa di verbi all'infinito,
una matita nuova, lunga e ben appuntita,
un foglio bianco per ogni desiderio mai sopito.
Fare qualcosa di bello per gli altri,
avendo per paga sorrisi e occhi felici,
scaccerà molti più demoni e mostri
di tutti i colpi sparati dalle mitragliatrici!

©2023 Gemini Grafica Editore (testi selezionati dall'autore)
Il volume "Cose che capitano ai vivi" è disponibile nelle migliori librerie o, in alternativa, sul sito dell'editore. Buona lettura!

sabato 26 aprile 2025

Frammenti di sogno bussano alla mia finestra - Notturno, seconda stagione: puntata n. 22

Essenza e natura: un nuovo capitolo e una nuova storia?

di Claudio Montini

La somma di due solitudini non genera quasi mai una coppia fissa di individui: li aiuta, se mai, a superare temporaneamente sofferenze e disagi esistenziali, regalando loro effimeri stati di euforia.
Tanto è vero che, se non accade, l'universo non se ne accorge nemmeno e prosegue lungo la rotta prestabilita, la sua entropia rimane intatta e in equilibrio con la materia oscura e tutte le probabilità, indeterminate o indeterminabili, ad esse associate.
Al contrario, quando un simile improbabile evento si manifesta, si concretizza e si consolida nel tempo anche infinitamente piccolo, se rapportato all'eternità, scocca una scintilla che si scaglia come un lampo che vibra increspando il tessuto dello spazio-tempo, certamente in misura assai minore rispetto alle onde gravitazionali, la quale viene rilevata e avvertita soltanto dai soggetti protagonisti e da pochissimi altri individui peculiarmente ipersensibili.
Questo fenomeno, per comodità di linguaggio, usiamo chiamarlo amore e derubricarlo o definirlo o postularlo con una notevole mole di altre espressioni che mascherano la totale ignoranza, congenita per altro, riguardo alla sua vera essenza e natura.

©2025 Testo di Claudio Montini
©2015 Immagine di Augusta Belloni condivisa su Facebook

lunedì 14 aprile 2025

Pillole per sognare: estratto integrale da LA TOVAGLIA A QUADRI (2024) di Claudio Montini

 Stelle e sogni
di Claudio Montini



«Brillano nella notte come lucciole prigioniere in un barattolo di vetro, cui non dovrai forare il tappo per lasciarle respirare o svitarlo per lasciarle andare ad esaurirsi altrove, quando ti sarai stancato di ammirarle e studiarle.
Lontane e irraggiungibili, appese sopra la tua testa in apparente vibrazione, t'inganneranno una volta di più lasciandoti libero di unirle con un filo immaginario e disegnare figure di fantasia.
La luce non è veloce a sufficienza per mostrarti il loro volto di pulviscolo e gas e altre materie incandescenti: viaggia lungo milioni di metri per esibire teste di spillo e bottoni luccicanti sul mantello nero della notte, ma arriva sfinita agli occhi nudi.
Inoltre, quel tessuto che le sorregge e le incastona, coacervo di forze magnetiche e onde gravitazionali, è troppo elastico e inesorabile e misterioso e oscuro nei suoi infiniti meccanismi per sottomettersi a lei o alle tue tesi per spiegarlo, prevederlo o inchiodarlo a una croce appesa al muro, per costringerlo in una cornice di equazioni e formule matematiche, annunciando al mondo distratto che non c'è altro da capire o da scoprire.
Invece loro sono sempre lì, da secoli e millenni prima di ogni occhio che le abbia mai notate e di ogni mente che si sia mai posta domande su ciò che la circonda...»
La notte è fredda sull'altopiano alla fine del mondo, lì dove finisce la crosta della terra e comincia a farsi sottile anche il guscio d'aria che tiene in vita gli esseri a base carbonio che metabolizzano l'ossigeno e l'azoto.
Margherita si calò la cuffia di lana sulle orecchie, sistemando i capelli sotto di essa con un gesto istintivo e automatico, poi si strinse la sciarpa di lana della Fiorentina al collo provando a chiudere meglio il giubbotto imbottito.
Non avrebbe mai pensato di poter tornare e di farlo proprio lì: in fondo, a suo parere, nell'universo c'era solo polvere e gas, un gran freddo e radiazioni micidiali per qualsiasi forma vivente, altro che entità immateriali magnanime e misericordiose o, al contrario, demoni o altri mostri onnipotenti che si nutrono di cattiveria e di vite altrui senza ritegno.
Cesare sorrise, non gli accadeva troppo spesso, sorpreso da tale eloquenza che, a tratti, sfiorava l'elegia e la poesia, materie del resto rare da rinvenire nelle menti scientifiche.
Dovendo prendere tempo per elaborare una replica acconcia e di adeguato livello, Cesare cavò dalle tasche del cappotto un pacchetto di sigarette e ne offrì una a lei che, a sua volta, si sfilò i guanti lasciando che gliela accendesse.
Tirarono una prima boccata, avidamente nel medesimo istante, come se non lo facessero da un tempo incommensurabile e soffiarono fuori il fumo, dalla bocca e dalle narici, reclinando il capo all'indietro allontanando la mano con la sigaretta, sicura prigioniera delle falangi di indice e medio, con un gesto lento e misurato del braccio intero.
Con un cenno del capo attirò l'attenzione della donna, senza chiamarla per nome o in altro modo, circa le nuvolette appena create e in procinto di dissolversi.
«Somiglia alla miriade di ipotesi, di dubbi, di sogni elaborati e covati e pensati eppure tanto lesti a demolire certezze, dogmi, leggi e tutte le consapevolezze faticosamente accumulate dalla civiltà umana, ammesso e non concesso che sia mai esistita...»
L'uomo di lettere distillava le parole come un alambicco, le mescolava incorporandole e ci si specchiava dentro: stava ancora cercando pace alla sua anima inquieta nonostante l'avesse resa attraverso un sonnifero.
L'aveva colta di sorpresa, distratta da altri pensieri e sguarnita di parole adatte per rispondere: in quell'istante aveva scoperto che certi nodi non si sciolgono, resistono all'usura del tempo e al logorio delle vite affastellate in sequenze di avvenimenti, solo apparentemente casuali, descritti a stento ma non circoscritti da ammassi di parole come le poesie o i romanzi, suoi o d'altri, tanto cari al professore piemontese.
«Analogia sorprendente e inoppugnabile, Cesare...»
Lui volse il viso sorridente e cavalcò l'apparente smarrimento di Margherita: era una smorfia dolce e amara allo stesso tempo.
«Siamo prigionieri, non passeggeri:
siamo ostaggi di fantasmi di ieri.
La cattiva memoria è un'arma,
è distrazione di massa e di forma:
un bel tacer non fu mai scritto
e tu sai bene chi lo ha detto.»
Lei lo guardò come se lo vedesse per la prima volta, così come aveva scrutato certi studenti, potenzialmente brillanti e dotati, ma distratti e svogliati in modo irritante: quanti ne aveva visti sfilare davanti alla sua cattedra e quanti ne aveva bocciati...
Ma ora non era più tempo, non era più cosa, non valeva più la pena dannarsi l'anima poiché dalla loro parte era tutto chiaro: il battibecco intellettuale era soltanto un gioco che recitavano tra loro per puro divertimento.
Un modo come un altro per trascorrere l'eternità e rompere il silenzio senza turbarne la pace.
«Voi poeti avete il dono della sintesi e la libertà della fantasia, ma noi scienziati siamo vincolati alla logica, al ragionamento, al fatto contingente e alla possibile ripetizione dell'evento in ambito sperimentale.
Dopo di che, ci tocca l'elaborazione di tesi ed antitesi, che proviamo e riproviamo a dimostrare per tutta la vita, fino a una nuova contrazione o deformazione dell'orizzonte degli eventi, fino all'epifania di un nuovo fenomeno che contraddica o spazzi via il pensiero precedente.
Voi potete volarci dentro senza muovervi, invece noi dobbiamo spiegare perché ciò sia possibile o, al contrario, perché non lo sia in quell'istante senza escludere che possa verificarsi in un secondo momento, magari, allargando la platea di parametri che definiscono i termini della questione...»
«Quali, per esempio?»
«La nostra attuale condizione, il nostro stato: siamo pensiero? Siamo ricordo? Siamo energia?»
«Margherita, possibile che ancora non ti arrendi all'idea più semplice e più folle eppure più evidente, una volta vagliate ed eliminate tutte le altre?
Siamo fatti della stessa materia dei sogni.»
Si concessero due boccate di fumo, senza proferire verbo, per accusare entrambi il colpo della presa di coscienza.
Si sentirono ancora più sospesi tra cielo e terra di quanto non fosse dato loro di avere mai immaginato, confusi tra quelle cose che sfuggivano da secoli a qualsiasi filosofia.
Ad ammutolirli, sgomenti e perplessi dopo il passaggio del rasoio di Occam, era proprio quel sostantivo di cinque lettere e il verbo relativo, simile per assonanza, a ciò che muove il sole e le altre stelle secondo il “divino” poeta fiorentino.
«Certo è che, caro il mio Cesare, chi sta al di là della polvere e del gas, di cui è pieno zeppo l'universo, si diverte parecchio a mescolare materia e antimateria, non c'è che dire...
Tanto che gli riesce bene anche con la metafisica: così per dire, manipola con destrezza e strategie sopraffine amore e morte, vero e falso, sogno e realtà per studiarne le reazioni, le interazioni, le energie in gioco e le particelle o le sostanze prodotte dai loro scontri...»
«Ma tu hai mai sognato? Hai mai chiuso gli occhi quando non eri davanti a un telescopio o allo schermo di un calcolatore, in silenzio, respirando il buio della notte e scivolando dentro scenari inverosimili al di là della ragione?»
«Suvvia, l'è chiaro che ho sognato anch'io qualcosa... Forse di più da bimba o da piccina e, da che ho memoria, ti assicuro che nulla mi sono fatta mancare... Solo che, poi, ho scoperto la matematica, lingua universale della scienza, la meccanica quantistica e le leggi che regolano l'universo le quali, lo sai bene anche tu, sono scritte in quella lingua tanto inoppugnabile e plausibile quanto concreta e osservabile e riproducibile nel tempo e nello spazio.
Un sogno non sempre lo è, anzi, quasi mai è tale, non trovi?
Ha il difetto di svanire alle prime luci dell'alba e di non lasciare tracce nella memoria: la mente ricorda solo cose piacevoli.
Sbiadirà come il tappeto di stelle steso sopra le nostre teste, nel momento in cui quella che ci ha legato a sé miliardi e miliardi di anni fa, grazie alla forza di gravità dovuta alla sua massa, ci illuderà di sorgere dall'orizzonte regalando luce e calore alla superficie di questo sasso blu sospeso nel vuoto cosmico...
Mentre, finalmente, sappiamo che ciò è dovuto al fatto per cui è il sasso ricoperto d'aria e d'acqua a girare intorno al proprio asse e, nel medesimo tempo, intorno a quella stella e, per giunta, essa ruota insieme a una moltitudine di altre più grandi e più lontane, vagando tra particelle e radiazioni d'ogni sorta.
Abbiamo durato fatica a farcelo entrare in zucca, ma, a forza di ragionarci sopra e farci calcoli, l'abbiamo accettato...
L'abbiamo osservato, sperimentato, verificato...
Infine, ci siamo arresi all'evidenza dei fatti che combaciavano coi calcoli e le previsioni teoriche...
Dopo tutto, la matematica un n'è mica un'opinione e nemmeno la fisica lo è: meno che mai quella quantistica...»
«Non menare il can per l'aia, Margherita... Non vorrai farmi credere che hai smesso di sognare dal liceo in poi?»
«Tutt'altro, caro il mio poeta e narratore, tutt'altro...
Anzi, te la dirò tutta: ho smesso molto prima!!
Diciamo, più o meno, dal principio della quarta ginnasio, dopo la prima versione di greco andata così così...
Col latino e il resto della letteratura la cosa è stata molto meno traumatica, però alle scienze e alla matematica ho dato subito del tu: così ho capito che quella era la mia strada.
Quando è scoppiata la guerra e le cose hanno preso la brutta piega che sappiamo, nessuno ha più avuto nemmeno la voglia di sognare: si pensava a salvare la pelle, sopravvivere, campare alla bella e meglio ma anche studiare, studiare, studiare per laurearsi ed essere indipendenti o, comunque, utili e produttivi nel “nuovo” che sarebbe sortito dal caos.
Ho fatto queste cose, forse, non esattamente in quest'ordine, ma le ho fatte nello stesso tempo e ci sono riuscita a fare più di qualche cosina, mi pare...
Sicché, anche ora che è tutto finito, che è tutto alle spalle, che è riassunto in poche righe di qualche libro, mi dico: “brava”!!
Giacché ciò che è venuto dopo, l'è il frutto dell'allenamento di allora e dell'entusiasmo e dell'incoscienza che ci misi dentro...
Quando si hanno o si danno ingredienti simili, le fatiche e i sacrifici svaniscono esattamente come i sogni...»
«Allora i tuoi cassetti sono vuoti, adesso che hai visto anche ciò che non ritenevi potesse esistere?
Ora che ti trovi dove non sei stata mai e che contempli in pace la bellezza del creato, cerchi ancora di svelarne il mistero?
Cerchi ancora la verità circa i suoi meccanismi?»
«No, Cesare, non la cerco più: come te, indipendentemente dalla mia volontà, ne faccio parte essendo io stessa briciola di una coscienza più grande, inimmaginabile...
Non sono i cassetti ad essere vuoti di sogni, immagino tu ti riferissi a quelli: quando li apro, è ben altro ad essere svanito nel nulla già occupato da polvere e gas e da ciò che resta di me.
Mi manca per intero tutta quell'età in cui ogni cosa poteva essere sogno o ipotesi, tesi o antitesi da dimostrare, un pezzetto di futuro da scoprire, da indagare, da studiare.
L'età del ginnasio e del liceo, delle nuvole nella testa e farfalle nello stomaco che si inseguono senza soluzione di continuità...
Poi quella della vita mia, zeppa di numeri e di occhiate alle stelle, di equazioni e di calcoli, di parole spese per insegnare a conoscere e spiegare l'universo e l'ignoto.
Questa è stata la mia missione e la mia ricerca della felicità: ora so di avere trovato e percorso la mia strada.
Ho la consapevolezza, contemplando l'eternità, che non avrei potuto fare altrimenti: ecco perché nei miei cassetti un c'è più nulla, nemmeno rimpianti...
Ma te, dimmi, che eri già un uomo fatto quando io ero ancora una ragazza, la consapevolezza dei tuoi mezzi o l'obbiettivo da raggiungere o la soddisfazione dei sogni e dei bisogni li hai, poi, trovati nelle parole, nella poesia, nelle letteratura che hai manipolato, insegnato, letto, tradotto e prodotto?
Hanno parlato al posto tuo più i personaggi che hai inventato e messo nelle case in collina dei paesi tuoi oppure quelli venuti fuori di là dall'oceano, che hai reso comprensibili volgendo le loro parole in italiano?»
Affondò il fioretto dritto al cuore, Margherita, schiacciando il mozzicone di sigaretta in un posacenere di metallo da esterno e affondando le mani nelle tasche del giubbotto imbottito.
Cesare fece altrettanto, sorridendo amaramente e reclinando la testa da un lato, come lo avevano trovato in quell'albergo di Torino dove aveva restituito al creatore l'anima tormentata e smarrita e stanca di nascondersi per sopravvivere come un fuggiasco o, per certi versi, un ribelle che non si schiera e non si allinea obbedendo ad altre promesse e ad altre facili illusioni, come l'amore per esempio, in un paese senza memoria.
«No, il mestiere di vivere si è rivelato più arduo e complicato di mi fossi immaginato: più di quanto le nuvole che avevo nel cuore, le parole che avevo in testa e nei quaderni o le farfalle che anche io ho avuto nello stomaco, mi avessero paventato o vagheggiato o dato da intendere.
Ogni volta che ho creduto di avere afferrato il benessere o la pace, anche soltanto con il pensiero, mi sono scivolati via come sabbia tra le dita evaporando come cera sciolta e bruciata o sbriciolandosi come cenere di sigaretta, simile in tutto e per tutto a quella che abbiamo lasciato insieme ai mozziconi.»
Si sfregò le mani e le dita, non per il freddo, bensì per simulare una sorta di pulizia delle falangi: poi, mise i pugni in tasca al cappotto e incassò lievemente la testa sulle spalle, guardando un punto indefinito dell'orizzonte e lei come se fosse una statua di cristallo trasparente.
«Non si può bruciare la candela dalle due parti ed io l'ho fatto da una parte sola, come è giusto che fosse: la cenere o la cera che resta, squagliata e sparsa, sono i libri che ho scritto e quelli che ho tradotto insieme a quelli che ho letto e promosso.
Ho inseguito la felicità, la fortuna, forse, persino l'amore ma esso è come la grazia di Dio: l'astuzia, la perizia, l'esperienza non servono a gran che per averla, per sentirla, per viverla.
Celebra la sua epifania a sua discrezione e piacimento.
Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti scrutandone le vite, indagandole e memorizzandole per rielaborarle con altre parole così che, finalmente, trovassi me stesso o delineassi e modellassi l'anima mia nella sua forma più stabile e compiuta.
Questo era il sogno, questa era la la missione che mi ero dato perché, cara Margherita, l'uomo mortale non ha che questo di immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia.
Avevo dato tutto quel che avevo e avevo chiesto tutto quel che mi è stato negato: non avevo altro più da fare se non restituirle la libertà di migrare altrove, come le illusioni che svaniscono senza nemmeno lasciare due righe di saluto.»
Sembrava l'avvocato difensore di sé stesso in un processo alle proprie intenzioni, come se si sentisse eternamente in dovere di giustificare la scelta di anticipare il sonno senza risveglio, come se non avesse ancora smesso di perdonare tutti quelli che lo avevano conosciuto e di domandare il loro perdono, altresì raccomandando che non eccedessero in pettegolezzi e illazioni fuorvianti circa il suo congedo dal mondo dei vivi.
Margherita focalizzò il suo sguardo negli occhi di lui come aveva abitualmente fatto con i suoi studenti, nel momento in cui aveva dovuto valutarne la preparazione: era in quello stato da molto prima di lei e per sua stessa mano, eppure ancora non era stato in grado di sbarazzarsi del masso che spingeva lungo la salita, lasciandolo là dove si trovava.
«Ohibò, questa è proprio bella: allora, i tuoi sogni sono stati vittima di fuoco amico, vale a dire di quella candela?
Lei ha perso l'equilibrio, è caduta e si è rovesciata senza che alcuno se ne avvedesse o curasse, lasciando che sciogliesse sé stessa e i vincoli che ti legavano all'esistenza.
Dunque anche i tuoi sogni sono diventati polvere o gas che si è disperso inerte nell'universo: mi sbaglio, forse?»
Cesare sorrise ancora una volta, ma più sollevato che sorpreso o toccato sul vivo: era come se, una volta tanto, si fosse trovato nudo davanti a uno specchio parlante che rimandava la sua vita per intero, senza sconti o accomodamenti o amnesie.
Finalmente, si sentì libero di parlare a chi vuole ascoltare.
«Li ho liberati, invece, grazie alla luce di quella candela.
Li ho nascosti tra le righe delle pagine, dei libri e degli appunti, per darli al mondo affinché l'incontrassero e lo attraversassero.
Me ne sono sbarazzato prima di fare a pezzi e bruciare in un falò immaginario con la luna sola spettatrice, nel cortile della casa in collina, i cassetti in cui li avevo stipati...
Mai lasciare i sogni chiusi lì dentro: essi sbiadiscono, scolorano svaniscono come vecchie stampe fotografiche, nel migliore dei casi, altrimenti corrompono e corrodono e consumano ciò che li circonda, avvelenano l'aria e l'acqua e la terra, soffocano il fuoco, spengono la luna e seccano il sangue.
Sì, Margherita: li ho liberati, li ho lasciati liberi di andare e me ne sono liberato perché speravo che la loro deriva, nel tempo, non fosse in alcun modo uguale alla mia.
Perché volevo che anche loro si nutrissero e assaporassero e cogliessero fino in fondo il sapore agrodolce e faticoso della libertà che l'umanità, a volte, baratta con troppa superficialità o noncuranza in cambio del quieto vivere.
Perché desideravo che, pur non avendo inferto danni e neppure recato benefici, essi parlassero di me al prossimo che li avrebbe mai sognati dicendo che sono stato, ho vissuto, ho amato.
Come la luce delle stelle che tu hai studiato, osservato, misurato e catalogato per tutta la vita, nonostante il dubbio che la sorgente potesse essersi già estinta o esaurita.
Nell'universo, tu m'insegni che più lontano si guarda e più indietro nel tempo ci si spinge... Non è così?»
«Diciamo che, a grandi linee, è così giacché la velocità della luce è costante e le distanze in gioco sono persino difficili da immaginare, sebbene le si possa calcolare.
Ecco, mi viene da dire che abbiamo cercato entrambi la verità, ciascuno a modo suo, partendo da presupposti differenti...»
Tacque pensosa, lasciando sospesa la frase come se inseguisse la battuta perfetta per fare suo quel finale di partita: ma lui la bruciò sul tempo, per impazienza o per istinto.
«Ritieni che, dopo tutto, abbiamo dato troppo corpo alle ombre e rincorso algidi fantasmi?»
«Manco per sogno e manco per idea, caro Cesare, in special modo per via del fatto che ora ombre, o fantasmi se preferisci, lo siamo diventati anche noi e, allora, è vero che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma...»
«... Così come è risaputo che ci siano più cose tra cielo e terra di quante la tua filosofia riesca a comprendere e la mia poesia possa mettere in rima e cantare!»
Estrassero le mani dalle tasche e se le strinsero, sorridendosi l'uno in faccia all'altro, finalmente soddisfatti e in pace con loro stessi e i rispettivi universi.
Una voce dall'alto li avvertì che la ricreazione era terminata: svanirono tenendosi per mano mentre andavano incontro alla nebbia, leggera come tulle per ballerine, che l'aliseo australe portò con sé da un oceano e spinse verso l'altro, scavalcando i crinali e l'altopiano, agevolando la brina nel germogliare su tutta la ringhiera della terrazza dell'osservatorio andino, a metà strada tra l'equatore e l'Antartide.
Sulle cupole di acciaio, dischiuse quel tanto che basta a strizzar l'occhio al cielo affollato di stelle, il vento ricamò parole dettate dalla Luna e mai udite prima.
Anche loro brillarono di luce riflessa, nello spazio e nel tempo: se gli alieni fossero passati di lì, abbassandosi nell'atmosfera, le avrebbero lette proprio così...

Spegni la luce adesso,
chiudi gli occhi e la bocca,
respira la notte lentamente,
nelle sfumature del buio:
non ti serve altro che aspettare.

Se lo vorranno davvero,
saranno loro a venire da te:
porteranno ombre e nuvole,
giorni di sole e sorrisi e risate,
volti sconosciuti o amati o perduti.

Sono già al lavoro per te,
sono già pronti ad agire,
sono attenti ai dettagli,
sono informati dei fatti:
sono desideri e timori che covi.

Spegni la luce adesso,
chiudi gli occhi e la bocca,
respira la notte lentamente,
nelle sfumature del buio:
non ti serve altro che aspettare.

Sulle dita di una mano
si contano gli amici per la vita
sui palmi solo i calli e i solchi
scavati dal bulino del destino:
chi ci vede altro è un ciarlatano!

La sabbia scivola senza sosta
e si svuota l'ampolla superiore,
inesorabilmente e senza appello
la clessidra fa il suo mestiere:
non ci resta altro che sognare.

Spegni la luce adesso,
chiudi gli occhi e la bocca,
respira la notte lentamente,
nelle sfumature del buio:
non ti serve altro che aspettare.

Ma le dita rosate dell'alba le sfiorarono, per pura curiosità.
Allora, le parole sbiadirono e, infine, svanirono come i sogni senza memoria, quando il Sole nascose le stelle accendendo la luce del nuovo giorno.

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