lunedì 14 aprile 2025

Pillole per sognare: estratto integrale da LA TOVAGLIA A QUADRI (2024) di Claudio Montini

 Stelle e sogni
di Claudio Montini



«Brillano nella notte come lucciole prigioniere in un barattolo di vetro, cui non dovrai forare il tappo per lasciarle respirare o svitarlo per lasciarle andare ad esaurirsi altrove, quando ti sarai stancato di ammirarle e studiarle.
Lontane e irraggiungibili, appese sopra la tua testa in apparente vibrazione, t'inganneranno una volta di più lasciandoti libero di unirle con un filo immaginario e disegnare figure di fantasia.
La luce non è veloce a sufficienza per mostrarti il loro volto di pulviscolo e gas e altre materie incandescenti: viaggia lungo milioni di metri per esibire teste di spillo e bottoni luccicanti sul mantello nero della notte, ma arriva sfinita agli occhi nudi.
Inoltre, quel tessuto che le sorregge e le incastona, coacervo di forze magnetiche e onde gravitazionali, è troppo elastico e inesorabile e misterioso e oscuro nei suoi infiniti meccanismi per sottomettersi a lei o alle tue tesi per spiegarlo, prevederlo o inchiodarlo a una croce appesa al muro, per costringerlo in una cornice di equazioni e formule matematiche, annunciando al mondo distratto che non c'è altro da capire o da scoprire.
Invece loro sono sempre lì, da secoli e millenni prima di ogni occhio che le abbia mai notate e di ogni mente che si sia mai posta domande su ciò che la circonda...»
La notte è fredda sull'altopiano alla fine del mondo, lì dove finisce la crosta della terra e comincia a farsi sottile anche il guscio d'aria che tiene in vita gli esseri a base carbonio che metabolizzano l'ossigeno e l'azoto.
Margherita si calò la cuffia di lana sulle orecchie, sistemando i capelli sotto di essa con un gesto istintivo e automatico, poi si strinse la sciarpa di lana della Fiorentina al collo provando a chiudere meglio il giubbotto imbottito.
Non avrebbe mai pensato di poter tornare e di farlo proprio lì: in fondo, a suo parere, nell'universo c'era solo polvere e gas, un gran freddo e radiazioni micidiali per qualsiasi forma vivente, altro che entità immateriali magnanime e misericordiose o, al contrario, demoni o altri mostri onnipotenti che si nutrono di cattiveria e di vite altrui senza ritegno.
Cesare sorrise, non gli accadeva troppo spesso, sorpreso da tale eloquenza che, a tratti, sfiorava l'elegia e la poesia, materie del resto rare da rinvenire nelle menti scientifiche.
Dovendo prendere tempo per elaborare una replica acconcia e di adeguato livello, Cesare cavò dalle tasche del cappotto un pacchetto di sigarette e ne offrì una a lei che, a sua volta, si sfilò i guanti lasciando che gliela accendesse.
Tirarono una prima boccata, avidamente nel medesimo istante, come se non lo facessero da un tempo incommensurabile e soffiarono fuori il fumo, dalla bocca e dalle narici, reclinando il capo all'indietro allontanando la mano con la sigaretta, sicura prigioniera delle falangi di indice e medio, con un gesto lento e misurato del braccio intero.
Con un cenno del capo attirò l'attenzione della donna, senza chiamarla per nome o in altro modo, circa le nuvolette appena create e in procinto di dissolversi.
«Somiglia alla miriade di ipotesi, di dubbi, di sogni elaborati e covati e pensati eppure tanto lesti a demolire certezze, dogmi, leggi e tutte le consapevolezze faticosamente accumulate dalla civiltà umana, ammesso e non concesso che sia mai esistita...»
L'uomo di lettere distillava le parole come un alambicco, le mescolava incorporandole e ci si specchiava dentro: stava ancora cercando pace alla sua anima inquieta nonostante l'avesse resa attraverso un sonnifero.
L'aveva colta di sorpresa, distratta da altri pensieri e sguarnita di parole adatte per rispondere: in quell'istante aveva scoperto che certi nodi non si sciolgono, resistono all'usura del tempo e al logorio delle vite affastellate in sequenze di avvenimenti, solo apparentemente casuali, descritti a stento ma non circoscritti da ammassi di parole come le poesie o i romanzi, suoi o d'altri, tanto cari al professore piemontese.
«Analogia sorprendente e inoppugnabile, Cesare...»
Lui volse il viso sorridente e cavalcò l'apparente smarrimento di Margherita: era una smorfia dolce e amara allo stesso tempo.
«Siamo prigionieri, non passeggeri:
siamo ostaggi di fantasmi di ieri.
La cattiva memoria è un'arma,
è distrazione di massa e di forma:
un bel tacer non fu mai scritto
e tu sai bene chi lo ha detto.»
Lei lo guardò come se lo vedesse per la prima volta, così come aveva scrutato certi studenti, potenzialmente brillanti e dotati, ma distratti e svogliati in modo irritante: quanti ne aveva visti sfilare davanti alla sua cattedra e quanti ne aveva bocciati...
Ma ora non era più tempo, non era più cosa, non valeva più la pena dannarsi l'anima poiché dalla loro parte era tutto chiaro: il battibecco intellettuale era soltanto un gioco che recitavano tra loro per puro divertimento.
Un modo come un altro per trascorrere l'eternità e rompere il silenzio senza turbarne la pace.
«Voi poeti avete il dono della sintesi e la libertà della fantasia, ma noi scienziati siamo vincolati alla logica, al ragionamento, al fatto contingente e alla possibile ripetizione dell'evento in ambito sperimentale.
Dopo di che, ci tocca l'elaborazione di tesi ed antitesi, che proviamo e riproviamo a dimostrare per tutta la vita, fino a una nuova contrazione o deformazione dell'orizzonte degli eventi, fino all'epifania di un nuovo fenomeno che contraddica o spazzi via il pensiero precedente.
Voi potete volarci dentro senza muovervi, invece noi dobbiamo spiegare perché ciò sia possibile o, al contrario, perché non lo sia in quell'istante senza escludere che possa verificarsi in un secondo momento, magari, allargando la platea di parametri che definiscono i termini della questione...»
«Quali, per esempio?»
«La nostra attuale condizione, il nostro stato: siamo pensiero? Siamo ricordo? Siamo energia?»
«Margherita, possibile che ancora non ti arrendi all'idea più semplice e più folle eppure più evidente, una volta vagliate ed eliminate tutte le altre?
Siamo fatti della stessa materia dei sogni.»
Si concessero due boccate di fumo, senza proferire verbo, per accusare entrambi il colpo della presa di coscienza.
Si sentirono ancora più sospesi tra cielo e terra di quanto non fosse dato loro di avere mai immaginato, confusi tra quelle cose che sfuggivano da secoli a qualsiasi filosofia.
Ad ammutolirli, sgomenti e perplessi dopo il passaggio del rasoio di Occam, era proprio quel sostantivo di cinque lettere e il verbo relativo, simile per assonanza, a ciò che muove il sole e le altre stelle secondo il “divino” poeta fiorentino.
«Certo è che, caro il mio Cesare, chi sta al di là della polvere e del gas, di cui è pieno zeppo l'universo, si diverte parecchio a mescolare materia e antimateria, non c'è che dire...
Tanto che gli riesce bene anche con la metafisica: così per dire, manipola con destrezza e strategie sopraffine amore e morte, vero e falso, sogno e realtà per studiarne le reazioni, le interazioni, le energie in gioco e le particelle o le sostanze prodotte dai loro scontri...»
«Ma tu hai mai sognato? Hai mai chiuso gli occhi quando non eri davanti a un telescopio o allo schermo di un calcolatore, in silenzio, respirando il buio della notte e scivolando dentro scenari inverosimili al di là della ragione?»
«Suvvia, l'è chiaro che ho sognato anch'io qualcosa... Forse di più da bimba o da piccina e, da che ho memoria, ti assicuro che nulla mi sono fatta mancare... Solo che, poi, ho scoperto la matematica, lingua universale della scienza, la meccanica quantistica e le leggi che regolano l'universo le quali, lo sai bene anche tu, sono scritte in quella lingua tanto inoppugnabile e plausibile quanto concreta e osservabile e riproducibile nel tempo e nello spazio.
Un sogno non sempre lo è, anzi, quasi mai è tale, non trovi?
Ha il difetto di svanire alle prime luci dell'alba e di non lasciare tracce nella memoria: la mente ricorda solo cose piacevoli.
Sbiadirà come il tappeto di stelle steso sopra le nostre teste, nel momento in cui quella che ci ha legato a sé miliardi e miliardi di anni fa, grazie alla forza di gravità dovuta alla sua massa, ci illuderà di sorgere dall'orizzonte regalando luce e calore alla superficie di questo sasso blu sospeso nel vuoto cosmico...
Mentre, finalmente, sappiamo che ciò è dovuto al fatto per cui è il sasso ricoperto d'aria e d'acqua a girare intorno al proprio asse e, nel medesimo tempo, intorno a quella stella e, per giunta, essa ruota insieme a una moltitudine di altre più grandi e più lontane, vagando tra particelle e radiazioni d'ogni sorta.
Abbiamo durato fatica a farcelo entrare in zucca, ma, a forza di ragionarci sopra e farci calcoli, l'abbiamo accettato...
L'abbiamo osservato, sperimentato, verificato...
Infine, ci siamo arresi all'evidenza dei fatti che combaciavano coi calcoli e le previsioni teoriche...
Dopo tutto, la matematica un n'è mica un'opinione e nemmeno la fisica lo è: meno che mai quella quantistica...»
«Non menare il can per l'aia, Margherita... Non vorrai farmi credere che hai smesso di sognare dal liceo in poi?»
«Tutt'altro, caro il mio poeta e narratore, tutt'altro...
Anzi, te la dirò tutta: ho smesso molto prima!!
Diciamo, più o meno, dal principio della quarta ginnasio, dopo la prima versione di greco andata così così...
Col latino e il resto della letteratura la cosa è stata molto meno traumatica, però alle scienze e alla matematica ho dato subito del tu: così ho capito che quella era la mia strada.
Quando è scoppiata la guerra e le cose hanno preso la brutta piega che sappiamo, nessuno ha più avuto nemmeno la voglia di sognare: si pensava a salvare la pelle, sopravvivere, campare alla bella e meglio ma anche studiare, studiare, studiare per laurearsi ed essere indipendenti o, comunque, utili e produttivi nel “nuovo” che sarebbe sortito dal caos.
Ho fatto queste cose, forse, non esattamente in quest'ordine, ma le ho fatte nello stesso tempo e ci sono riuscita a fare più di qualche cosina, mi pare...
Sicché, anche ora che è tutto finito, che è tutto alle spalle, che è riassunto in poche righe di qualche libro, mi dico: “brava”!!
Giacché ciò che è venuto dopo, l'è il frutto dell'allenamento di allora e dell'entusiasmo e dell'incoscienza che ci misi dentro...
Quando si hanno o si danno ingredienti simili, le fatiche e i sacrifici svaniscono esattamente come i sogni...»
«Allora i tuoi cassetti sono vuoti, adesso che hai visto anche ciò che non ritenevi potesse esistere?
Ora che ti trovi dove non sei stata mai e che contempli in pace la bellezza del creato, cerchi ancora di svelarne il mistero?
Cerchi ancora la verità circa i suoi meccanismi?»
«No, Cesare, non la cerco più: come te, indipendentemente dalla mia volontà, ne faccio parte essendo io stessa briciola di una coscienza più grande, inimmaginabile...
Non sono i cassetti ad essere vuoti di sogni, immagino tu ti riferissi a quelli: quando li apro, è ben altro ad essere svanito nel nulla già occupato da polvere e gas e da ciò che resta di me.
Mi manca per intero tutta quell'età in cui ogni cosa poteva essere sogno o ipotesi, tesi o antitesi da dimostrare, un pezzetto di futuro da scoprire, da indagare, da studiare.
L'età del ginnasio e del liceo, delle nuvole nella testa e farfalle nello stomaco che si inseguono senza soluzione di continuità...
Poi quella della vita mia, zeppa di numeri e di occhiate alle stelle, di equazioni e di calcoli, di parole spese per insegnare a conoscere e spiegare l'universo e l'ignoto.
Questa è stata la mia missione e la mia ricerca della felicità: ora so di avere trovato e percorso la mia strada.
Ho la consapevolezza, contemplando l'eternità, che non avrei potuto fare altrimenti: ecco perché nei miei cassetti un c'è più nulla, nemmeno rimpianti...
Ma te, dimmi, che eri già un uomo fatto quando io ero ancora una ragazza, la consapevolezza dei tuoi mezzi o l'obbiettivo da raggiungere o la soddisfazione dei sogni e dei bisogni li hai, poi, trovati nelle parole, nella poesia, nelle letteratura che hai manipolato, insegnato, letto, tradotto e prodotto?
Hanno parlato al posto tuo più i personaggi che hai inventato e messo nelle case in collina dei paesi tuoi oppure quelli venuti fuori di là dall'oceano, che hai reso comprensibili volgendo le loro parole in italiano?»
Affondò il fioretto dritto al cuore, Margherita, schiacciando il mozzicone di sigaretta in un posacenere di metallo da esterno e affondando le mani nelle tasche del giubbotto imbottito.
Cesare fece altrettanto, sorridendo amaramente e reclinando la testa da un lato, come lo avevano trovato in quell'albergo di Torino dove aveva restituito al creatore l'anima tormentata e smarrita e stanca di nascondersi per sopravvivere come un fuggiasco o, per certi versi, un ribelle che non si schiera e non si allinea obbedendo ad altre promesse e ad altre facili illusioni, come l'amore per esempio, in un paese senza memoria.
«No, il mestiere di vivere si è rivelato più arduo e complicato di mi fossi immaginato: più di quanto le nuvole che avevo nel cuore, le parole che avevo in testa e nei quaderni o le farfalle che anche io ho avuto nello stomaco, mi avessero paventato o vagheggiato o dato da intendere.
Ogni volta che ho creduto di avere afferrato il benessere o la pace, anche soltanto con il pensiero, mi sono scivolati via come sabbia tra le dita evaporando come cera sciolta e bruciata o sbriciolandosi come cenere di sigaretta, simile in tutto e per tutto a quella che abbiamo lasciato insieme ai mozziconi.»
Si sfregò le mani e le dita, non per il freddo, bensì per simulare una sorta di pulizia delle falangi: poi, mise i pugni in tasca al cappotto e incassò lievemente la testa sulle spalle, guardando un punto indefinito dell'orizzonte e lei come se fosse una statua di cristallo trasparente.
«Non si può bruciare la candela dalle due parti ed io l'ho fatto da una parte sola, come è giusto che fosse: la cenere o la cera che resta, squagliata e sparsa, sono i libri che ho scritto e quelli che ho tradotto insieme a quelli che ho letto e promosso.
Ho inseguito la felicità, la fortuna, forse, persino l'amore ma esso è come la grazia di Dio: l'astuzia, la perizia, l'esperienza non servono a gran che per averla, per sentirla, per viverla.
Celebra la sua epifania a sua discrezione e piacimento.
Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti scrutandone le vite, indagandole e memorizzandole per rielaborarle con altre parole così che, finalmente, trovassi me stesso o delineassi e modellassi l'anima mia nella sua forma più stabile e compiuta.
Questo era il sogno, questa era la la missione che mi ero dato perché, cara Margherita, l'uomo mortale non ha che questo di immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia.
Avevo dato tutto quel che avevo e avevo chiesto tutto quel che mi è stato negato: non avevo altro più da fare se non restituirle la libertà di migrare altrove, come le illusioni che svaniscono senza nemmeno lasciare due righe di saluto.»
Sembrava l'avvocato difensore di sé stesso in un processo alle proprie intenzioni, come se si sentisse eternamente in dovere di giustificare la scelta di anticipare il sonno senza risveglio, come se non avesse ancora smesso di perdonare tutti quelli che lo avevano conosciuto e di domandare il loro perdono, altresì raccomandando che non eccedessero in pettegolezzi e illazioni fuorvianti circa il suo congedo dal mondo dei vivi.
Margherita focalizzò il suo sguardo negli occhi di lui come aveva abitualmente fatto con i suoi studenti, nel momento in cui aveva dovuto valutarne la preparazione: era in quello stato da molto prima di lei e per sua stessa mano, eppure ancora non era stato in grado di sbarazzarsi del masso che spingeva lungo la salita, lasciandolo là dove si trovava.
«Ohibò, questa è proprio bella: allora, i tuoi sogni sono stati vittima di fuoco amico, vale a dire di quella candela?
Lei ha perso l'equilibrio, è caduta e si è rovesciata senza che alcuno se ne avvedesse o curasse, lasciando che sciogliesse sé stessa e i vincoli che ti legavano all'esistenza.
Dunque anche i tuoi sogni sono diventati polvere o gas che si è disperso inerte nell'universo: mi sbaglio, forse?»
Cesare sorrise ancora una volta, ma più sollevato che sorpreso o toccato sul vivo: era come se, una volta tanto, si fosse trovato nudo davanti a uno specchio parlante che rimandava la sua vita per intero, senza sconti o accomodamenti o amnesie.
Finalmente, si sentì libero di parlare a chi vuole ascoltare.
«Li ho liberati, invece, grazie alla luce di quella candela.
Li ho nascosti tra le righe delle pagine, dei libri e degli appunti, per darli al mondo affinché l'incontrassero e lo attraversassero.
Me ne sono sbarazzato prima di fare a pezzi e bruciare in un falò immaginario con la luna sola spettatrice, nel cortile della casa in collina, i cassetti in cui li avevo stipati...
Mai lasciare i sogni chiusi lì dentro: essi sbiadiscono, scolorano svaniscono come vecchie stampe fotografiche, nel migliore dei casi, altrimenti corrompono e corrodono e consumano ciò che li circonda, avvelenano l'aria e l'acqua e la terra, soffocano il fuoco, spengono la luna e seccano il sangue.
Sì, Margherita: li ho liberati, li ho lasciati liberi di andare e me ne sono liberato perché speravo che la loro deriva, nel tempo, non fosse in alcun modo uguale alla mia.
Perché volevo che anche loro si nutrissero e assaporassero e cogliessero fino in fondo il sapore agrodolce e faticoso della libertà che l'umanità, a volte, baratta con troppa superficialità o noncuranza in cambio del quieto vivere.
Perché desideravo che, pur non avendo inferto danni e neppure recato benefici, essi parlassero di me al prossimo che li avrebbe mai sognati dicendo che sono stato, ho vissuto, ho amato.
Come la luce delle stelle che tu hai studiato, osservato, misurato e catalogato per tutta la vita, nonostante il dubbio che la sorgente potesse essersi già estinta o esaurita.
Nell'universo, tu m'insegni che più lontano si guarda e più indietro nel tempo ci si spinge... Non è così?»
«Diciamo che, a grandi linee, è così giacché la velocità della luce è costante e le distanze in gioco sono persino difficili da immaginare, sebbene le si possa calcolare.
Ecco, mi viene da dire che abbiamo cercato entrambi la verità, ciascuno a modo suo, partendo da presupposti differenti...»
Tacque pensosa, lasciando sospesa la frase come se inseguisse la battuta perfetta per fare suo quel finale di partita: ma lui la bruciò sul tempo, per impazienza o per istinto.
«Ritieni che, dopo tutto, abbiamo dato troppo corpo alle ombre e rincorso algidi fantasmi?»
«Manco per sogno e manco per idea, caro Cesare, in special modo per via del fatto che ora ombre, o fantasmi se preferisci, lo siamo diventati anche noi e, allora, è vero che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma...»
«... Così come è risaputo che ci siano più cose tra cielo e terra di quante la tua filosofia riesca a comprendere e la mia poesia possa mettere in rima e cantare!»
Estrassero le mani dalle tasche e se le strinsero, sorridendosi l'uno in faccia all'altro, finalmente soddisfatti e in pace con loro stessi e i rispettivi universi.
Una voce dall'alto li avvertì che la ricreazione era terminata: svanirono tenendosi per mano mentre andavano incontro alla nebbia, leggera come tulle per ballerine, che l'aliseo australe portò con sé da un oceano e spinse verso l'altro, scavalcando i crinali e l'altopiano, agevolando la brina nel germogliare su tutta la ringhiera della terrazza dell'osservatorio andino, a metà strada tra l'equatore e l'Antartide.
Sulle cupole di acciaio, dischiuse quel tanto che basta a strizzar l'occhio al cielo affollato di stelle, il vento ricamò parole dettate dalla Luna e mai udite prima.
Anche loro brillarono di luce riflessa, nello spazio e nel tempo: se gli alieni fossero passati di lì, abbassandosi nell'atmosfera, le avrebbero lette proprio così...

Spegni la luce adesso,
chiudi gli occhi e la bocca,
respira la notte lentamente,
nelle sfumature del buio:
non ti serve altro che aspettare.

Se lo vorranno davvero,
saranno loro a venire da te:
porteranno ombre e nuvole,
giorni di sole e sorrisi e risate,
volti sconosciuti o amati o perduti.

Sono già al lavoro per te,
sono già pronti ad agire,
sono attenti ai dettagli,
sono informati dei fatti:
sono desideri e timori che covi.

Spegni la luce adesso,
chiudi gli occhi e la bocca,
respira la notte lentamente,
nelle sfumature del buio:
non ti serve altro che aspettare.

Sulle dita di una mano
si contano gli amici per la vita
sui palmi solo i calli e i solchi
scavati dal bulino del destino:
chi ci vede altro è un ciarlatano!

La sabbia scivola senza sosta
e si svuota l'ampolla superiore,
inesorabilmente e senza appello
la clessidra fa il suo mestiere:
non ci resta altro che sognare.

Spegni la luce adesso,
chiudi gli occhi e la bocca,
respira la notte lentamente,
nelle sfumature del buio:
non ti serve altro che aspettare.

Ma le dita rosate dell'alba le sfiorarono, per pura curiosità.
Allora, le parole sbiadirono e, infine, svanirono come i sogni senza memoria, quando il Sole nascose le stelle accendendo la luce del nuovo giorno.

©2024 Testi di Claudio Montini da LA TOVAGLIA A QUADRI (Independently Published, 2024) disponibile su amazon. it in formato elettronico e cartaceo
©2024 Immagine di Orazio Nullo

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