sabato 26 settembre 2020

Notturno: Episodio 13 - La fiera dei sogni

Vorrei...
di Claudio Montini

Vorrei aprire la finestra per vedere il mare rincorrersi e spalmarsi, spumeggiando e ribollendo con un borbottio tamburellante sugli scogli, le falesie e il bagnasciuga.
Poi la richiuderei e me ne andrei altrove in cerca di una focaccia e bibita fresca, forse un gelato.

Vorrei stare seduto su un sasso piatto alla fine di un prato, davanti a una baita di legno, ad aspettare che finisca di cuocere il pane e il suo profumo si spanda nell'aria. L'estate degli alpeggi è più breve e netta di quella che conosce la pianura. Il minestrone è già pronto, devo solo riscaldarlo; poi, mi verserò un bicchiere di vino e finirò quel libro che ozia sul comodino.

Vorrei soltanto un pizzico di fortuna in più anche se, tutto sommato, ne ho avuta già parecchia: sono sempre caduto in piedi e sono riuscito a raccontarlo. Questa è la mia fortuna, possibile che sia così?

Vorrei avere tutte le risposte a portata di mano per non essere colto di sorpresa troppo spesso. Come nel Manuale delle Giovani Marmotte o nelle tasche di Eta Beta o nella vasca di Archimede pitagorico.

Vorrei essere capace di fare tutta da me, senza disturbare o essere un peso per alcuno dei miei simili o dei miei compagni di cammino: così lascerei fare tutto il resto al destino.

Vorrei un momento di dolce far niente, sentendo il sangue che batte nelle tempie, il sole che bussa alle palpebre e l'aria che sa di sale e di erba, di miele e di fiori, di pane e salame, di vino appena sboccato e birra giovane appena spillata, di frutta staccata dal ramo o dal rovo riempirmi i polmoni.

Vorrei che la fantasia non smettesse mai di farmi compagnia, come ha fatto nei momenti bui: alle parole ci penserò io, come sempre.

©2020 Testo di Claudio Montini
©2017 Immagine di Orazio Nullo "Bonfire burns through the night" Atelier Des Pixels Collection

lunedì 7 settembre 2020

Ciò che mi piace, mi fa bene

Per fuggire l'oblio

di Claudio Montini

Poco oltre la metà della mia vita, mi trovai appiedato e con una matita sola in mano: è stata lunga un anno quell'agonia, sebbene avessi dato il meglio di me stesso come se fosse il primo giorno. Lasciai la mia autobotte in cortile di un commerciante di autocarri, senza voltarmi: probabilmente aveva già un nuovo padrone e una nuova vita altrove, non era più un problema mio anche se non lo era mai stato. Un amico, era stato un amico oltre a essere un compagno di lavoro, il più fedele e il più generoso che io abbia mai conosciuto non solo un pezzo di acciaio e plastica e gomma. Ma non si lavora solo per passione, si lavora per fare soldi e, se non ti pagano per ciò che produci, tanto vale interrompere ogni rapporto e realizzare il più possibile vendendo i mezzi di produzione: in questo sono stato, sono e sarò sempre d'accordo con la decisione presa dal mio datore di lavoro di allora al quale debbo eterna riconoscenza per avermi dato fiducia quasi solo per la mia bella faccia. Un galantuomo nel senso più pregnante del termine e cui ho voluto bene indipendentemente dai soldi dello stipendio puntualissimo. Dunque, otto anni fa circa mi ritrovai senza un lavoro, con poche idee ma ben confuse sul futuro e tanto tempo libero: venne naturale e spontaneo domandarmi cosa sapessi fare concretamente e bene perchè passati i quarantacinque anni  d'età non ti vuole più nessuno a servizio, nemmeno le ragazzine in cerca di avventure con uomini più maturi. Per quelle spese lì, del resto, non ho mai avuto il fisico: non era proprio il caso di tentare la carriera gigolò. Ho sempre amato leggere e provare a immaginare storie ispirate dalle mie letture; ho scritto poesie e racconti che nascondevo regolarmente in un cassetto: poi, un giorno di molti dopo l'ultimo lavorativo, quel cassetto si è aperto ed esse si sono presentate davanti a me, domandandomi se potevano fare qualcosa per la malinconia che seminava trappole per conto della depressione. Era piacevole rileggersi e stimolante tentare di abbellire o correggere il tiro, qua e là, di manoscritti che erano affatto ingenui o sciocchi: capii che era giunto il momento di fare ciò che più mi piaceva, da sempre, per il semplice fatto che mi faceva bene all'anima. Così ho seguitato a leggere romanzi altrui, a provare a raccontare perchè mi erano piaciuti e a scrivere racconti originali cogliendo al volo la prima frase che mi passava per la testa e seguendo il percorso che essa o la logica, di volta in volta, andavano suggerendomi: una volta steso il primo periodo sulla pagina, posti e personaggi si presentano da soli e, a volte, pretendono di essere raccontati e sviluppati. Allora, non si tratta più di guardarsi allo specchio frugando nelle tasche del vestito che invecchia giorno per giorno, ma della lotta per non essere dimenticati o per lasciare un segno in chiunque s'imbatta nelle mie parole.

© 2020 Testo di Claudio Montini
© 2018 Immagine di Orazio Nullo "Writer's nightmare" Atelier des Pixels collection

domenica 6 settembre 2020

Noi e la sabbia

 

Promemoria
di Claudio Montini
Siamo tutti granelli di sabbia dentro a una clessidra: dobbiamo passare, ci piaccia o no, per quello stretto pertugio da cui cascare nel recipiente sottostante. Se la mano che la ribalta con maniacale puntualità non molla inavvertitamente e inaspettatamente la presa, possiamo goderci un altro giro sullo scaffale e godere delle meraviglie del creato: altrimenti finiamo mescolati ai frantumi sparsi a raggiera sul pavimento, pronti soltanto per essere spazzati via, dentro una pattumiera fino alla fornace o al crogiolo che ci ridurrà in cenere e fumo o in altra materia da plasmare. Allora, dobbiamo tornare a ridere e a cantare, a sognare e a scrivere storie e poesie capaci, almeno per un piccolo istante, di farci volare via; ci dobbiamo ricordare senza paura e senza dolore dei tempi belli e di quelli brutti, perchè qualcosa ce l'hanno insegnato tutti; dobbiamo tornare alle fonti e alle radici, a noi per quello che siamo e che sappiamo fare: perchè non siamo belli o brutti a comando, non siamo tutti uguali e neppure tanto fratelli o sorelle. Siamo unici e irripetibili, diversi eppure compatibili, sostituibili ma non sovrapponibili: come granelli di sabbia dentro una clessidra, bagnati dallo stesso mare, schiacciati dallo stesso cielo, illuminati dalle stesse stelle e destinati a passare da uno stretto pertugio per essere dimenticati.

©2020 Testo di Claudio Montini 
©2014 Immagine di Augusta Belloni

venerdì 4 settembre 2020

Settembre è arrivato

Spero di sbagliarmi
di Claudio Montini


Settembre è arrivato, ma qualcosa ancora qui non va: non v'è traccia di cambiamento, di ravvedimento, di discernimento o consapevolezza. Insomma, l'orchestra continua a suonare e noi a volteggiare cuore a cuore, mentre la nave è già inclinata e l'acqua imbarcata è ben oltre le caviglie. Lasciamo stare coloro che negano l'evidenza dei fatti e si ostinano a non leggere i segni dei tempi, inseguendo poltrone occupate da altri più lesti e più scaltri rimasticando, risputando o ripetendo come pappagalli ammaestrati le solite solfe, le bugie stantie, le medesime inconcludenti melodie che incantano sempre meno mentecatti e troppi facinorosi lobotomizzati da lucciole e satrapi bisognosi di un pubblico plaudente per sentirsi arrivati.
Il virus, almeno lui, è uguale per tutti come la morte è il comune punto di arrivo di tutti gli esseri a base carbonio in questo angolo di universo: ma è differente il pegno e il modo con cui i ricchi e i poveri varcheranno quella soglia. Almeno sia una cosa rapida per questi ultimi destinati da sempre a fare proprie le briciole magnanimamente lasciate cadere dalle tavole dei primi. 
L'imitazione è la molla che spinge al'arrampicata sociale, all'eversione del sistema, alla sopraffazione: chi sta male, chi è caduto, chi non è conforme o non più produttivo va tagliato e gettato nel forno affinché se ne disperdano le cenere o la semente o il ricordo e non sia più un peso, una palla al piede, una zavorra inutile persino per mettere una croce sopra una scheda elettorale. Non si fa la stessa cosa coi parassiti e con le piante infestanti? Lo Stato moderno e contemporaneo non ha tempo da perdere con loro: è già così faticoso, per lui, arrivare cinque minuti dopo l'ultimo minuto a fare il proprio dovere e a mantenere oliato ed efficiente l'apparato che si nutre di carte bollate e autocertificazioni, sopra il banco, mentre scorre un fiume di favori e denaro (che, si sa, non puzza come sapevano bene i Latini) e chissà cos'altro sotto lo stesso. 
Eh, bello mio, è la campagna elettorale permanente questa, mica cotiche o salamelle e buon vino: il solo sistema e strumento efficace per distrarre la gente, attirarla dalla propria parte, irretirla e sedurla ma non amarla fino in fondo, scipparla di ogni residuo bene e d'ogni avere o certezza con toni da straccivendoli o verdurieri o azzeccagarbugli dalla memoria corta. Basta agitarle uno spettro dinanzi agli occhi mentre si fruga nelle sue tasche: i democristiani, almeno, ci facevano inginocchiare con le mani giunte dinanzi alla prima vittima storica del sistema giudiziario; i socialisti e i comunisti ci facevano alzare il pugno sinistro o tenerci un garofano (l'altra mano ci serviva a fare gli scongiuri affinché non venisse Baffone o tornassero di moda le camicie nere: Mussolini era stato un socialista, è un dato storico di fatto).
Questi sanno solamente fare rivoltare nelle loro tombe i Padri Fondatori della Repubblica Italiana tanto quanto i loro rispettivi avversari e predecessori.
Settembre è arrivato e ne vedremo delle belle: ma mi ostino a sperare di sbagliarmi.  

© 2020 Testo di Claudio Montini    -  immagine da Google Images database