FOTOGRAFIE
di Claudio Montini
Io scrivo di notte così
nessuno mi vede e, avendo comunque ben altro da fare, tutti coloro
che occupano il resto del pianeta si fanno gli affari propri.
Nella notte, tutti hanno
un impegno, un appuntamento, un amore da consumare di nascosto e in
fretta, un vizio che li consumerà ma adesso vogliono goderselo fin
che ce n'è o fin che fa male, un sogno di libertà e di vita
migliore, un incubo da spegnere aprendo gli occhi nel buio e cercando
conforto nella luce interna del frigorifero.
Nella notte, qualcuno
cerca una canzone e una voce che sciolgano la stanchezza del vivere e
c'è chi demolisce la fatica russando come una moto-trebbiatrice con
la marmitta bucata, mentre abbatte sequoie nel bosco onirico.
Nella notte, c'è chi
cerca in fondo a una bottiglia l'oblio e chi se lo inietta o inala o
ingoia in mezzo ad ascelle sudate, luci colorate e casse che vibrano
e tremano e sparano decibel come le cannonate degli incrociatori
nello sbarco in Normandia; poi, li trovano schiantati o ribaltati o
aggrovigliati alle lamiere, comunque freddi da obitorio perchè non
c'è una vita di scorta come nei videogames.
Io, di notte, prima di
dormire in attesa dell'alba, guardo le fotografie che scarico dal
Grande Fratello che Orwell aveva già visto nel delirio della sua
malattia: pochi alzano la mano a vantarsi di non essere su un social
network o di non avere un indirizzo di posta elettronica.
Ce lo chiede l'Europa e,
prima ancora, ce l'ha chiesto il mercato: allora, come pecoroni
infoiati, tutti al galoppo ad aprire account per mandare tutta la
documentazione con un click, per non doversi ingegnare a trovare il
modo migliore per saltare la fila: salvo poi doversi recare di
persona allo sportello, come una volta, per dimostrare d'essere vivo
e scalciante e avente diritto a questo, quello e quell'altro in
faccia a un altro che ha il tuo stesso pessimo umore ma, scrutando
dentro uno stupido molto veloce, per mestiere certifica la tua
esistenza.
Ma i due stupidi veloci a
far calcoli, quello che hai lasciato a casa, sì, quello con cui
navighi il mare virtuale e quello dello sportello, non dovevano
essere in grado di scambiarsi vicendevolmente le notizie loro
necessarie?
Oppure sono sordi, ciechi
e muti come certi pezzi dello Stato che si parlano solo attraverso i
giornali e solo per insultarsi?
Prima di cedere alle
lusinghe del sonno, di notte, io penso a molte cose e mi incazzo col
resto del mondo: ma, dal momento che quest'ultimo fa orecchie da
mercante, scendo dal.....sì, insomma, da quel “coso” lì e vado
a piedi per i labirinti sinaptici.
Dicono che camminare sia
un ottimo rimedio alla vita sedentaria, ma scrivere camminando non si
può, né di notte né di giorno perchè non si vede la strada e si
perde la direzione.
Io, invece, ho trovato lo
stesso il modo di farlo perchè di notte scrivo quello che le
fotografie, sbirciate nelle bacheche altrui, sussurrano alla mia
fantasia: ogni notte il viaggio è differente così come i pensieri
che si coagulano intorno a quei francobolli di vita strappati, con
nitrato d'argento e carta o una moltitudine di pixel, al loro eterno
fluire e bruciare per dissolversi nell'oblio.
Apro camere ammobiliate
per viandanti immaginari, con vista su mondi che, già dopo lo
scatto, non esistono più perché evoluti stando al passo della luce
del giorno; in esse, allestisco scenari per quadri che monto in
sequenza come fosse un film o un videoclip da proiettare per me
soltanto, nella mia testa, perché non mi bastano mai i sogni che
Morfeo, il dio del sonno e non il calciatore, mi procura ogni volta
che chiudo le palpebre.
Per sopravvivere, per
serbare ancora un briciolo di speranza, per riempire ore vuote come
una casa abbandonata e dimenticata ho bisogno di sogni ad occhi
aperti e di volare oltre la malinconia e il dolore.
Siano benedette le
fotografie e chi le scatta finchè avrò la forza e la vista per
ricamare merletti di parole per le loro didascalie, fosse ben
solamente una minuscola lirica o un emistichio che fa salire un
sorriso a fior di labbra.
Sia, infine, benedetta la
mia maestra della scuola elementare, maestra unica direbbero i soloni
odierni quasi inorridendo che una persona sola riuscisse, in cinque
anni, a svezzare alla cultura e alla disciplina del vivere in una
comunità civile una banda eterogenea dalla bocca ancora sporca di
latte.
Lei evitava di comparire
nelle fotografie di classe perchè dovevamo essere noi protagonisti
della scuola; per lei la scuola viveva perchè c'eravamo noi e lei
era li per darci gli strumenti necessari ad essere cittadini
consapevoli.
Lei non ci ha insegnato
soltanto a leggere, scrivere e a far di conto: parlandoci di storia,
geografia, aritmetica, geometria, biologia, grammatica e ortografia
ci ha insegnato a non fermarci a bello o brutto, buono o cattivo,
giusto o sbagliato, mi piace o non mi piace ma ci ha costretto ad
aggiungere un perchè che
completasse la nostra risposta.
Ci ha insegnato ad avere
un'opinione ed esprimerla e a porre, a nostra volta, domande mirate
per approfondire e superare le apparenze mettendoci, se necessario,
nei panni degli altri: la mia libertà inizia dove finisce la tua, ma
farò in modo che tu possa sempre esprimere il tuo pensiero, senza
gridare e senza mangiarti le parole: perchè discutendo con una
persona intelligente posso solo migliorare la mia intelligenza,
lasciò scritto George Washington, presidente degli Stati Uniti
d'America.
Intanto la notte scivola
tra le dita che compongono parole, scorrendo più veloce delle
fotografie di ogni album che vorrei sfogliare: perciò mi limito
mettere l'ultimo punto e ad aspettare, ad occhi chiusi, l'alba di un
nuovo giorno per cercare nuove fotografie.
© 2015 - 2018 Testo di Claudio Montini
© 2019 Immagine di Orazio Nullo "Time traveller"