La pietà e la compassione erano morte
in culla da troppo tempo e sepolte col favore delle tenebre, in una
notte senza luna, nella terra più lontana dagli occhi e dal cuore.
A chi gridava più forte andava la
vacca e il vitello che, forse, portava in pancia se non se l'erano
già giocato d'azzardo.
I venditori di morte spacciata per vita
migliore, a colori, senza problemi e senza pensieri non si curano del
sudore, del dolore, della fatica, della paura: non lo facevano
allora, non lo fanno adesso e mai lo faranno.
Il denaro non odora di questi afrori:
non ha alcuna fragranza, a dirla tutta: fruscia, tintinna, si
ammucchia, si conta, si muove e si spende come se non ci fosse un
domani perchè, esso stesso, aveva già provveduto ad acquistarlo,
accomodarlo, arredarlo e gestirlo per riprodurlo facendo in modo che
si perdano le tracce delle sue origini.
Dopo tutto, è un servo gentile che
diventa padrone e tiranno più del tempo che si mangia le nostre
vite: è la chiave che apre le porte delle stanze dei bottoni, è la
corda per issarsi sui colli e gli scranni, infischiandosene dei
portatori, dei parassiti e delle pedine minori per godersi la vista e
l'altura.
Ma una volta in cima, si può soltanto
scendere oppure cadere: non siamo fatti per volare, altrimenti
avremmo le ali sul dorso.
Il nonno sognava tre sfere d'acciaio a
sud dell'ombelico, invece di quattro ruote sotto il sedere, per
potersi vantare all'osteria di essere un flipper instancabile e non
soltanto un tram chiamato desiderio, raccontando aneddoti piccanti su
improbabili notti di fuoco con inesistenti amanti, in posti inventati
e visti mai.
Barba fatta, scarpe lucide, lingua
sciolta e a Roma si va: non si era accorto che il tempo aveva stinto
le camicie e che la Città Eterna era soltanto un punto nero, come
tanti altri, sulla faccia curva del mondo.
Andava così e va ancora allo stesso
modo nel regno dei piedi per terra, dei morti tumulati solo se freddi
e rigidi, dell'uovo oggi e forse la gallina domani, ma solo se è
vecchia così ci si avanza il brodo, buono per il risotto con lo
zafferano o la zuppa alla pavese che sfamò, persino, il re francese
sconfitto tra il Naviglio Leonardesco e il Ticino cinque secoli fa.
Aspettiamo e mormoriamo, masticando
bestemmie e bocconi amari, biascicando preghiere imparate male, che
il mondo, se è vero che gira come dicono professori e maestri, prima
o poi passi anche qui da noi, a visitare le nostre contrade.
La luce, il telefono, il metano e
l'acqua del pozzo comunale lo hanno fatto come la ferrovia e io rubo
il burro da sposare al pane con la marmellata di arance, per farmi
uno spuntino di mezzanotte senza rimorsi ma che mi faccia tornare
bambino, seduto sulla sabbia di mare con secchiello e paletta,
intento a cantare alle onde che lambiscono i piedi una supplica
inventata, affinché si facciano più basse e meno spumose, si
quietino quel tanto che basta a farsi abbracciare e cavalcare da un
cucciolo di pianura che crede di saper già galleggiare e nuotare.
- continua... -
© 2024 Testo di Claudio Montini
©2018 Immagine di Orazio Nullo "Bitter goblet" - Atelier des Pixels gallery
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