lunedì 27 luglio 2020

La parabola dell'estate

Il principio della discesa
di Claudio Montini

Arrivando al fondo di Luglio, sin da ragazzino, mi pare sempre che l'estate cominci una lunga parabola discendente sebbene si sia a ridosso di Agosto che, per le latitudini italiche prima del Covid-19, rappresenta il mese del "Chiuso per Ferie" e della villeggiatura. Persino la televisione e la radio non si facevano scrupolo di chiudere programmi "storici", ingolfandosi di repliche e rassegne degli episodi più significativi del già messo in onda. Nel subconscio dei programmatori e della gente comune, scattava un interruttore o una molla o un convincimento di qualsivoglia natura per cui era naturale riversarsi su aie e piazze e balere, più o meno improvvisate, a volteggiare in balli antichi da fare rigorosamente in coppia e, complici abbondanti libagioni e abbuffate di pietanze desuete ma ancora radicate nella memoria collettiva, senza badare troppo alla morfologia del partner: l'imperativo era divertirsi e dimenticare i pensieri, collezionando imprese da ingigantire raccontandole al bar o nei ripari dalla nebbia o dalla neve o dalla pioggia durante la brutta stagione in cui sole e zanzare latitano.
La "Spagnola" del terzo millennio fa paura, altro che: la televisione, mezzo di disinformazione di massa, ha un bel da fare a mostrarci spiagge e piazze e stazioni con tanta gente e poche mascherine, a indignarsi per gli assembramenti e a celebrare interventi sporadici delle forze dell'ordine per fare rispettare le ordinanze restrittive (leggi: nuovi strumenti per fare cassa sulla pelle della gente, avendo sospeso per forza di cose, tasse e mutui e altri balzelli), a promuovere località neglette e sconosciute per una vacanza autoctona e autarchica come nemmeno durante il peggior Ventennio che lo Stivale Italico Moderno ricordi, quello "democrattico e fassista". Essa ha fatto come il bambino della favola, quello che, gridando che il re era nudo, ha aperto gli occhi a tutti quanti: in soldoni, ha dimostrato quanto peggio della Grecia fossimo ridotti, con gente che campava di espedienti, di lavoro nero e coatto e sottopagato, occasionale e intermittente tanto da rendere tale pure l'alimentazione e il sostentamento; di quanto si campasse di piccole pensioni e di grandi rinunce, di quanti debiti si contraessero con le persone sbagliate e si finisse strozzati, di quanta fatica si facesse a sopportare che una piccola minoranza ignorasse tutto ciò avendo fin troppo di più del necessario, senza aver fatto nulla per meritarselo o guadagnarselo, deridendo chi non faceva come loro o rimbambendo il prossimo con promesse sgonfiabili solo chiedendo esempi concreti. Già, esempi concreti: questi sconosciuti e altrettanto temuti dai capipopolo nostrani che gonfiano il petto e i pochi muscoli solo davanti a folle inebriate dalle loro vuote parole, ma che non sono mai scesi sulla terra dove si deve campare la vita giorno per giorno, senza mezzi né soddisfazioni; loro camminano tra la gente solo quando le telecamere sono accese e sono vestiti della festa: ma non li ho mai visti in un ospedale, seduti accanto a un malato terminale, infetto, da cambiare, da esaminare... Non li ho mai visti nelle baracche degli sfrattati che lavano le scale o le case dei signori, che consegnano cibo in bicicletta a sfaccendati e smidollati, non li ho mai visti spingere una sedia a rotelle per un marciapiede o salire gradini e scale per farsi una carta d'identità o dimostrare di essere invalidi e purtroppo ancora in vita.
Se li vedete, avvisatemi: potrei gridare al miracolo.
Per il momento, preferisco togliere l'audio al televisore quando vedo che aprono bocca e tace la voce fuori campo del giornalista: non potendo prenderli a calci nel sedere o per un'orecchio onde mostrare loro cosa ci tocca di sopportare per la loro insipienza, preferisco il bel tacer che non fu mai scritto.

©2020 Testo di Claudio Montini
©2016 Immagine di Orazio Nullo "Electoral promises" Atelier Des Pixels Collection

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