Il primo appuntamento
di Claudio Montini
Venerdì erano due sconosciuti
che vivevano a capolinea opposti di linee d'autobus, le cui rotte si
intersecavano nel centro della città ma senza sfiorarsi: erano
estranei l'uno alla vita dell'altra come turisti e indigeni, ciascuno
avvolto nelle proprie aspettative così come nelle rispettive
frustrazioni. 
Ciò non di meno, stavano seduti
al tavolo di un bar pasticceria davanti a due tazze di cioccolata con
panna e un vassoio di piccole paste frolle assortite e profumate,
intenti e attenti a scambiarsi sorrisi di cortesia e aneddoti
biografici per sondare i reciproci mondi, cercando ragioni o punti in
comune che spiegassero perché fossero lì sul punto di scambiarsi
numeri di telefono e indirizzi di casa ma vi rinunciassero,
procrastinando il gesto di separarsi con una promessa di un nuovo
appuntamento e una stretta di mano. 
Fuori, Novembre si ricordava
d'essere il mese delle nebbie e delle prime gelate a quella
latitudine a nord del quarantacinquesimo parallelo, lasciando che la
foschia salisse dal fiume azzurro, per via dei Liguri e corso Strada
Nuova, fino a piazza Cavagneria per dilagare in piazza Duomo fino a
via Bossolaro facendo di Pavia un sobborgo della vecchia Londra,
quella di Chesterton o di Conan Doyle o di Dickens, se le luci al
neon delle insegne e dei lampioni non si fossero accesi con la
lentezza inesorabile del crepuscolo. 
Al barista Fabio, vecchio volpone
del cappuccino e sapiente ruffiano, smaliziato ed esperto quanto
basta intenditore di spiriti umani e alcolici, sarebbe stata più che
sufficiente una cinica occhiata per distinguere tra simpatia e
infatuazione, prendendo immediatamente le distanze da entrambe le
cose una volta date le spalle a quelle altrui o calata la saracinesca
del locale per tornare a casa. 
Ma nessuno chiese il suo parere,
per fortuna: due stelle avevano appena deviato dalle rispettive
orbite per ruotare intorno a un nuovo centro di gravità, senza
alterare il tessuto dello spazio e del tempo, semplicemente
ignorandolo come sempre accade ad ogni svolta della vita o ad ogni
evento non atteso né previsto. 
Approfittando dei tovaglioli di
carta con il marchio del caffè torrefatto alle porte della città,
si scambiarono le rispettive coordinate per rintracciarsi e,
finalmente, si strinsero la mano. 
Quel primo contatto di pelle e di
carne così sano, sodo, sincero e caldo, vivo, energico senza essere
eccessivo esprimeva, a entrambi, la chiara intenzione di infondere
fiducia in chi lo avesse ricevuto al di là dell'espressione del
volto e dello sguardo, come se questi ultimi fossero accessori della
maschera o del travestimento o del costume indossato per l'occasione. 
Intanto, grazie a quel gesto,
nuvole di farfalle si erano liberate autonomamente nello stomaco e
nell'anima dei due senza, però, prendere ancora la via della testa
per suonare campanelle o altre melodie negli orecchi. 
Vincendo con un caldo sorriso le
sue rimostranze, lui saldò il conto e le aprì la porta offrendole
il braccio come facevano le coppie del secolo scorso: lei ricambiò,
appena appena piacevolmente confusa e felice nello stesso tempo,
facendo scivolare la propria mano sull'avambraccio fino ad avvolgerlo
e a stringergli di nuovo la mano mentre uscivano dalla scena del
primo appuntamento, dopo anni spesi a non farsi soverchie illusioni o
a viverle tra le righe e le parole, così pure come tra le ombre e le
luci proiettate sullo schermo, piccolo o grande che fosse. 
La sera era scesa in fretta come
la densa umidità ghiacciata che presto sarebbe fiorita sui tetti e
sulle ringhiere e le maniglie dei portoni, facendo del basolato o dei
sampietrini di porfido o del selciato insidiose superfici per tutti i
tacchi vertiginosi: ma quella non era roba per lei né per lui. 
C'era, tutto intorno a loro,
un'aura di energia nuova che li sospinse, quasi veleggiassero sospesi
da terra, alle rispettive e dirimpettaie fermate d'autobus: ad ogni
passo, uscivano, insieme alle nuvole di fiato caldo, nuovi aneddoti e
citazioni di canzoni e rivelazioni di gusti cui non avevano pensato
prima ma ora parevano urgenti e indispensabili a comporre il mosaico
di sé, quello che rimane impresso nella memoria e lavora coi
sentimenti umani per eccellenza. 
Lui attese che salisse, si
sistemasse e la salutò con la mano aperta che si faceva cornetta del
telefono, tornando immediatamente a palmo aperto. 
Lei rispose con il pugno chiuso
ma col pollice ben disteso verso l'alto, mentre le porte a soffietto
si chiudevano e il motore accelerava per proseguire la corsa. 
La poteva pensare al sicuro,
adesso o almeno fino a destinazione, poiché anche i malintenzionati
a quell'ora pensavano alla cena oppure a trovarsi un caldo riparo per
la notte. 
Ora poteva rimettere le mani in
tasca e raggiungere il lato opposto della via ad attendere, insieme a
una manciata di altri pavesi, di tornare ad asserragliarsi nel
proprio nido o nel proprio guscio come piaceva fare a loro, lasciando
che il tempo o le le mode o il mondo stesso passassero di nuovo di
lì: esattamente come l'autobus e la sua linea circolare.
©2025 Testo di Claudio Montini 
©2021 Immagine di Orazio Nullo "People in the street" - Atelier Des Pixels collection

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