Le sabbie di Marte di Arthur Charles Clarke (1951)
Edizione speciale
Oscar Mondadori 2015
di Claudio Montini
Raccontare una storia è come salire su un'astronave per viaggiare
nel tempo e nello spazio: è lo strumento più inafferrabile, più
inattaccabile, inossidabile di cui l'uomo di ogni epoca storica sia
stato in grado di dotarsi.
Il ragionamento è valido anche nella prospettiva degli ascoltatori o
dei lettori, poichè consente loro di essere contemporaneamente in
due distinti punti dell'universo, reale o virtuale che sia.
Gli ingredienti, le strutture, gli schemi, al netto della lingua
peculiare del narratore stesso, sono i medesimi dagli esordi o, se
preferite, dall'invenzione della necessità di trasmettere alle
generazioni successive la memoria o la testimonianza della propria
esistenza: cambiano i contesti storici, forse gli scenari o i fondali
contro cui recitano la loro parte i vari personaggi ma i temi
rappresentati sono sempre uguali, pur risentendo del gusto o delle
mode contingenti all'epoca in cui le storie mitiche e i poemi e i
romanzi vengono prodotti.
Anche LE SABBIE DI MARTE (1951, prima edizione UK
"The sands of Mars"; 1952 prima edizione italiana per i
tipi di Arnoldo Mondadori Editore in Milano, nella collana Urania)
di Arthur Charles Clarke non sfugge a questo paradigma di massima
sebbene sia stato il titolo che ha inaugurato una fortunatissima
collana di romanzi di fantascienza, o meglio, di narrativa
avventurosa con ambientazione scientifica e tecnologica, I romanzi
di Urania, i quali hanno spesso e volentieri anticipato scenari e
sviluppi determinatisi nei decenni successivi, usando la leva
immaginifica e fantastica sulla mole di dati e scoperte e invenzioni
che la corsa allo spazio e allo sfruttamento dell'energia atomica
mettevano a disposizione di narratori brillanti e ben addestrati da
una solida cultura letteraria classica.
LE SABBIE DI MARTE
non
è soltanto un romanzo di fantascienza, tempietto per appassionati
del genere e dell'inverosimile così come dell'eccezionale ma
impossibile, da relegare a prodotto di serie "B" o a
passatempo da ombrellone in spiaggia: è un romanzo nel senso più
pieno del termine e figlio legittimo dei suoi tempi, con una vicenda
sicuramente calata in un una realtà più lontana nel tempo e nello
spazio (l'azione si svolge in un domani non specificato e addirittura
sulla superficie di un'altro pianeta del sistema solare) che,
tuttavia, si rivela specchio della natura umana così come lo sono
stati i prodotti degli autori britannici e francesi e anche italiani
pubblicati negli ottant'anni che hanno preceduto la sua uscita.
Clarke,
noto ai più per essere l'autore del racconto 2001:
odissea nello spazio
(divenuto romanzo solo alcuni anni dopo la realizzazione dell'omonimo
lungometraggio diretto da Stanley Kubrick), pagina dopo pagina, si
rivela come uno squisito autore britannico ottocentesco poco
vittoriano, privo di sussiego e paludamenti retorici (merito anche
della traduzione di Maria Gallone, per l'edizione speciale del 2014
nel catalogo degli Oscar Mondadori?), cioè ricco di agilità e
freschezza e ritmo incalzante ovvero una scioltezza e scorrevolezza
narrativa invidiabile anche dai narratori moderni e contemporanei,
incapaci (a mio parere) di imitare il suo stile esatto come
un'equazione di Maxwell (con cui aveva dimestichezza dati i suoi
studi universitari compiuti grazie a una borsa di studio per meriti
di guerra: per inciso, Arthur Clarke aveva servito nella RAF come
addetto al radar e aveva anche contribuito al miglioramento
dell'efficienza dello strumento stesso) miscelato alla immediata
fruibilità o sagacia del miglior Dickens o del più ispirato Oscar
Wilde.
Infatti, l'occhio indagatore o di ripresa non è puntato sulla
macchina o sullo spazio extraterrestre o sulla paura dell'una o
dell'altra cosa, bensì sulla rinata curiosità dell'essere umano e
sulla sua propensione a spostare in avanti il confine e in alto il
limite delle proprie capacità, facendo sì che diventi casa e patria
anche un mondo lontanissimo, totalmente diverso da quello natio,
spesso ostile e ignoto e apparentemente vuoto rispetto ai canoni con
cui si definiscono gli organismi viventi.
In estrema sintesi, questo è anche il compito del protagonista,
giornalista e scrittore di romanzi di fantascienza (quale ironia: non
della sorte ma tipicamente e sottilmente britannica!), incaricato dai
mezzi d'informazione terrestri di documentare i progressi della
colonizzazione marziana e della qualità dei viaggi interplanetari di
linea destinati a collegare stabilmente i due pianeti: infatti egli è
imbarcato sull'astronave a propulsione atomica battezzata col nome
greco del pianeta rosso, Ares.
Viaggio e soggiorno saranno formativi e rivoluzionari per lo
scrittore in questione, poiché riuscirà a fare pace col suo passato
e a intravedere un nuovo futuro per sé proprio lì, lontano dalla
Terra.
Il messaggio di LE SABBIE DI MARTE è quanto mai
esplicito, come si usava in molte opere del romanticismo inglese e
del positivismo francese di fine XIX secolo: il progresso tecnologico
e il radioso futuro che ci attende aiuteranno la specie umana a
superare tutte le difficoltà e le brutture cui è andata incontro
nel recente passato, compresa la II guerra mondiale e il difficile
dopoguerra che ne è seguito sia sul piano economico che politico.
Non si deve dimenticare che il libro esce a soli sei anni dalla fine
degli eventi bellici più devastanti del secolo breve, i quali hanno
stremato l'economia e la popolazione dell'Impero britannico, non solo
quelli dei nemici sconfitti: c'è voglia di riscatto, di libertà, di
benessere da ritrovare insieme a cose nuove da sognare, perchè no?
Come tradizione anglosassone, per cui le opere letterarie degne di
questa etichetta, devono avere una morale, devono insegnare qualcosa,
devono indicare una via d'uscita lecita verso la felicità del genere
umano: questo compito implicito, Arthur C. Clarke lo svolge
egregiamente avvolgendo il lettore, tanto contemporaneo quanto
posteriore a lui stesso, in un una trama avvincente ma anche sobria e
agile al punto che anche il lettore più distratto, o discontinuo,
ritroverà sempre il filo del discorso e inquadrerà la scena in
atto, come se stesse assistendo a teatro a una rappresentazione dai
tempi serrati e gli arredi e le scene essenziali ma funzionali agli
sviluppi della vicenda narrata.
Alla fine, si esce e si uscirà dal teatro e dalle pagine di LE
SABBIE DI MARTE (1951) di Arthur Charles Clarke (1917-2008),
con la netta sensazione di aver capito meglio qualcosa di noi stessi
come elementi della civiltà degli esseri umani più che come
semplici spettatori di una escursione oltre i confini della realtà,
a bordo delle ali della fantasia.
©2023 Testo di Claudio Montini
©2023 Immagine di Orazio Nullo
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