I PROBLEMI DELLA
SIGNORA PICH
Edizioni Angolo
Manzoni
2003
di Claudio Montini
L'invidia e il rancore sono la miscela esplosiva che, con il denaro
come innesco, spinge i pistoni degli ingranaggi con cui si muove il
teatrino delle marionette umane. Passano le mode, cambiano i tempi,
accelerando e rallentando ma mai ribaltandosi e rivoluzionandosi,
eppure gli ingredienti e le strategie sono sempre gli stessi: lo sa
bene Gianna Baltaro che, raccogliendo I PROBLEMI DELLA SIGNORA
PICH nella Quattordicesima indagine del commissario
Martini (Edizioni Angolo Manzoni, 2003), li mette in
scena in una Torino del secolo scorso, anni '30 o giù di lì,
affatto fascista e ancora molto umbertina, in cui la cortesia e la
buona creanza non avevano ancora ceduto alla diffidenza e
all'arroganza della trasgressione ad ogni costo.
A sconvolgere l'ordine costituito del quadro sociale dell'ex capitale
del Regno con un piede (o forse tutti e due) nel passato e lo sguardo
dritto ma cauto sul futuro, ci pensano due luttuose fatalità che si
concretizzano nell'omicidio dell'amministratore della Fondazione
Speranza e nell'incidente stradale che pone fine all'esistenza
terrena della sua presidentessa, la signora Elisabetta Pich. Il fatto
che si verifichino in un breve volgere di giorni l'uno dall'altro
potrebbe essere una macabra coincidenza; se nonché l'autopsia sulla
sfortunata automobilista rivela la presenza di sostanze tali da
alterare la concentrazione alla guida, sostanze di cui la defunta non
ha mai fatto uso. Dunque gli omicidi su cui indagare sono due e, il
ritrovamento di un appunto della vittima sul luogo del primo delitto,
fa sì cheemerga la correlazione tra i due eventi e faccia convergere le
attenzioni della polizia sulla cerchia familiare della signora Pich e
pure chiami in causa colui che, tessendo una paziente tela di ragno,
farà cascare il colpevole in trappola senza colpo ferire, mandandone
all'aria tutto il castello di azioni premeditato lungo tutta una
vita. Il fine indagatore dei meandri maligni dell'animo umano in
questione risponde al nome di Andrea Martini; ex commissario di
polizia a capo della Squadra Mobile di Torino che, all'apice del
successo e della carriera, eredita da un prozio un bel podere avviato
a vigna nelle Langhe vicino a Diano d'Alba (Cn) e si reinventa, si
direbbe oggi, gentiluomo di campagna e imprenditore vitivinicolo,
grazie anche alle cure degli operai che da prima di lui attendevano
alla vigna e alla cantina permettendogli lunghi soggiorni sotto la
Mole Antonelliana dove per tutti è ancora il commissario Martini.
Tanta è la stima di cui ancora gode per l'ottimo lavoro svolto come
tutore dell'ordine e investigatore che l'attuale capo della Mobile è
autorizzato, non solo in questo caso, ad avvalersi della
collaborazione e della consulenza del predecessore dal Procuratore
del Re operando con le stesse prerogative di un funzionario di
polizia in servizio attivo, dato l'innato acume investigativo, la
conoscenza relativa a ogni fascia sociale della città, una buona
dose di empatia e un pizzico di fortuna (che non guasta mai, in ogni
ambito di attività umana).
Seguendo una intuizione flebile come un filo di fumo (e leggendo I
problemi della signora Pich ne converrete anche voi), agendo
in perfetta sincronia con il con il commissario Ferrando (titolare
dell'inchiesta) non come Poirot e Hastings ma come Ellery Queen e il
padre, cioè su un piano paritetico e distinto, l'ex commissario
svelerà il nido di serpi che la defunta ereditiera Elisabetta Pich
allevava in seno e di cui non è riuscita a liberarsi perchè
vittima, a sua volta, della vendetta di uno scheletro ben conservato
nei suoi armadi tra i ricordi di gioventù.
Gianna Baltaro è magistrale nel confezionare questo delizioso e
sottile e affascinante gioco di ruolo, un congegno che non ha nulla
da invidiare ai rompicapi di mrs. Christie o monsieur Simenon o di
sir Conan Doyle perchè lo realizza con una sapienza teatrale e una
dettatura dei tempi scenici tali per cui sembra di ascoltare un radio
dramma e addirittura di vederlo prendere corpo davanti ai nostri
occhi, mentre si scorrono le righe di una prosa eccellente e mai
banale o scontata o retrodatata per meglio aderire alla temperie
culturale del tempo in cui si svolge l'azione. Ha un ritmo
radiofonico, una chiarezza e una sintesi di modulazione che non
intaccano l'efficacia immaginifica e logica della trama che si svolge
secondo una progressione che avvolge e affascina tanto che risulta
quasi doloroso staccarsi dalle pagine, sebbene la narrazione non sia
scandita da capitoli ma spazi tipografici tipo una riga vuota che
sottolinea il passaggio ad un altro quadro, un'altra scena, un'altra
rimozione di un ulteriore velo che nasconda qualcuno de I
problemi della signora Pich.
La Torino e l'umanità che Baltaro ci consegna non ci sono più, come
lei che è mancata nel 2009 dopo una lunga carriera come giornalista
di cronaca nera (prima donna ad occuparsi del settore per la Gazzetta
del Popolo) ed come collaboratrice di altre testate nazionali
nonché promotrice di eventi culturali e letterari; tuttavia non c'è
alcuna nostalgia del passato e la descrizione è limitata alle
piccole cose di pessimo gusto (per dirla con Guido Gozzano) che però,
vista l'attuale tendenza alla cialtroneria, sottolineano la nostra
attuale povertà intellettuale e sentimentale dove per eccitare gli
animi si deve ricorrere, anche in letteratura, troppo spesso alla
scabrosità iperbolica e pecoreccia perdendo di vista la bellezza del
mestiere di raccontare la realtà con semplicità e senza stigmi. Come si usava e si insegnava, un tempo ai giornalisti che si
consumavano le suole in cerca di notizie, a dettare gli articoli al
telefono: bisognava essere chiari, sintetici, precisi anche con la
punteggiatura i modo tale che il collega, dall'altro capo del filo,
trascrivesse correttamente ed esattamente l'articolo già pensato,
riletto e composto ovvero pronto per la tipografia.
Altro che copia e incolla: Gianna Baltaro e I problemi della
signora Pich, a mio modesto parere, sono uno splendido
manuale da studiare e imitare per tutti coloro, me compreso, che
intendono raccontare tanto la realtà che li circonda quanto
inventarsi un teatrino in cui far muovere le proprie marionette, i
propri demoni o i propri sogni.
©2020 Testo e foto di Claudio Montini
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