di Claudio Montini
Piove ad agosto e sembra che l'anticiclone africano voglia prendersi una pausa, lasciando entrare un fronte temporalesco nato sull'Atlantico. Piove sul "2 Agosto, alle 10 e 25 alla stazione di Bologna" e sulla memoria, smarginata e sbiadita, di quelle vite che mani senza volto si sono prese per mettere in difficoltà, piegare, impaurire, condizionare uno Stato libero, democratico e costituzionalmente parlamentare con l'intento di farne un Cile o un' Argentina o un Libano nel cuore del Mediterraneo e alla base dell'Europa. Era il 1980 e avevo quattordici anni: non immaginavo che quarant'anni dopo sarei ancora stato qui, in questo strano Paese allungato nel mare nostrum dei Latini, a domandarmi chi abbia veramente lasciato o installato (alla teoria della valigia dimenticata nella sala d'aspetto di seconda classe non ci credo affatto, nemmeno per sbaglio) l'esplosivo necessario a produrre una devastazione del genere che si vede nei filmati girati all'epoca dei fatti. Troppo preciso lo scoppio, il danno inferto alla stazione e non ai treni: il piazzale ingombro, sì, di macerie ma proiettate in modo da consentire un minimo intervento dei mezzi di soccorso (si adoperò persino un autobus cittadino per il trasporto dei feriti e dei moribondi, se non ricordo male). Troppo scientificamente calcolato il momento e il luogo, al netto dei depistaggi dei servizi di sicurezza, così come troppo sfacciata la o le presunte rivendicazioni con relative incriminazioni. La verginità, o se preferite, l'età dell'innocenza l'avevamo perduta con il caso Moro perchè le "ammazzatine" di mafia erano echi lontani di boati che si fermavano sullo stretto di Messina: la Campania e la Puglia erano ancora "insulae felices" di mare e pizza e mozzarella e grano duro come ce le raccontavano i sussidiari di scuola elementare o testi geografia delle medie. Quel giorno, molti della mia generazione capirono che non c'erano solo guardie e ladri, buoni contro cattivi, l'ordine e la legge, il bianco e il nero o il buio e la luce: si trovarono, grandi e piccini, messi di fronte all'esistenza della penombra, del buio e del silenzio, del grigio in tutte le sue sfumature, del "si fa ma non si dice", del "si sa ma non deve saperlo nessun'altro", dell'ufficiale e dell'ufficioso. Quel giorno, quel due agosto millenovecentoottanta alle dieci e venticinque, così come oggi quarant'anni e numerosi processi dopo, scoprimmo che c'erano tante Italie che vivevano nelle stesse strade e negli stessi palazzi e nelle stesse case nostre ma che non avevano i nostri stessi interessi, i nostri stessi sogni, la nostra stessa voglia di vivere; c'erano tante Italie che non avrebbero esitato a scannarsi e a scannare innocenti sull'altare dei propri disegni criminali, criminogeni e folli.
A pagare il conto del sangue sprecato, sarebbe toccato comunque alla gente comune.
©2019 Immagine di Orazio Nullo "Chief of last railway station" - Atelier Des Pixels collection
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