lunedì 30 giugno 2025

Un omaggio per il giorno dei santi Pietro e Paolo...

Un ricordo di "UNA PASSIONE DI FAMIGLIA"

di Claudio Montini
 Anche se il giorno dei santi Pietro e Paolo si è già concluso, mi ostino a celebrarlo condividendo con voi un piccolo brano tratto da "UNA PASSIONE DI FAMIGLIA" , volume 11 della serie "GLI ATOMI - micro romanzi per chi va di fretta" autopubblicato un po' di anni fa. Si tratta di una storia del tutto vera anche se interamente sognata dal sottoscritto, durante un brevissimo ricovero ospedaliero e un'esperienza di pre-morte di cui rendo conto nel libro stesso.

[...]
Mi guardavo intorno e non trovavo risposte alle incongruenze, ai dubbi, alle dissonanze di quell'esperienza che interessava i cinque sensi ma non poteva essere vera.
"Sono finito in un altra dimensione? Sicuramente fuori dal tempo e dallo spazio ordinario...
Come in un teatro di posa, dove i registi realizzano i sogni che hanno immaginato...
Eppure, io li vedo bene e ogni cosa è al suo posto nel cortile, persino i profumi e le voci e le tovaglie...
Tutto somiglia tanto a quella serata della fine di giugno di tanti anni fa, non avevo ancora la patente per guidare l'automobile...
Avevo il motorino ma non avevo ragazze da andare a trovare...
Ma sì, quell'estate in cui il giorno dei santi Pietro e Paolo era ancora festa nazionale e comandata, prima di essere abolita dal governo, insieme a tante altre l'anno successivo, addirittura con la benedizione dei preti per via del nuovo Concordato..." pensai, nonostante il sonno profondo.
No, non era per quello che ricordavo l'episodio: era, piuttosto, per l'aura di terrore che circondò la figura di mia madre prima, durante e dopo la serata e che ignorai volutamente per incosciente ottimismo d'adolescente.
La cena andò in onda al sabato e mia madre Elda, che lo seppe solo il venerdì pomeriggio, era già pronta alle esequie del consorte per lunedì, martedì al massimo.
Non erano passati che cinque mesi dal terzo infarto consecutivo che lo aveva colpito e lei, che avrebbe voluto rinchiuderlo sotto una campana di vetro mobile su cuscino d'aria come un hovercraft, si convinse che quella sarebbe stata l'ultima cena di suo marito.
Carlo, infatti, si esibì nel percorso completo e non si lasciò sfuggire una sola portata: antipasti misti di salumi e sottaceti, polenta e frittura con straccetti di lombo in umido, polenta e gorgonzola, scaglia di grana padano e torta gelato, innaffiando il tutto con una bottiglia intera di lambrusco imbottigliato un mese prima, giusto una settimana dopo essere arrivato in damigiana dai dintorni di Reggio Emilia grazie all'autotreno di un'attempato autista venuto a caricare da noi un carico di ritorno, mais destinato agli allevamenti della terra del parmigiano reggiano e del prosciutto crudo, per non rientrare senza remunerazione.
Si usa, nel mondo dell'autotrasporto, evitare andate o ritorni senza carico poiché non viene né fatturato né rimborsato dalle aziende committenti; allora, si cercano o si accettano carichi per consegna verso la strada di casa: in questo caso, a quel camionista erano toccate due consegne di grano tenero presso un mulino pavese e altrettanti “ritorni” di mais per uso zootecnico.
Non ho mai saputo come sia andata, come abbiano familiarizzato: probabilmente avranno parlato di trattorie e tradizioni culinarie, fatto sta che la seconda volta, dalla cabina del camion scesero due damigiane e salirono due scatoloni di confezioni di riso, una di Arborio e una di Carnaroli, che mio padre usava regalare sotto le feste di Natale ad amici e clienti di riguardo.
Forse già sapeva che il gran finale non era tanto lontano e voleva levarsi uno sfizio, voleva godersi la famiglia nel miglior posto nel quale quel concetto si esprime con generosità e voluttà: a tavola, davanti a piatti pieni e forchette pronte e bicchieri colmi.
Conoscendo i suoi polli, forse, ci stava pensando da parecchio ma si era ben guardato dal lasciarselo sfuggire di bocca; aveva scelto con cura le parole e le mosse da fare e da ispirare; aveva atteso il momento giusto e tutti recitarono, ignari, secondo il copione che da solo aveva immaginato.
Circondato anche da figli e nipoti e un paio di amici, proprio di quelli là così discreti ma presenti e cari più dei familiari, trascorse una bella serata beata e dormì sereno quasi senza russare; il giorno dopo andò pure a messa e trascorse il pomeriggio a fare fatture e registrare carichi e scarichi: la fine arrivò soltanto tre anni e mezzo dopo, in un letto d'ospedale e non in quello di casa.
Riteneva che l'agonia di un genitore non fosse un bello spettacolo per i propri figli e, d'accordo col medico di famiglia, volle fare un'ultima cosa per loro: farsi ricoverare affinchè non ne fossero spettatori impotenti.
©2020 - 2025 Testo di Claudio Montini diritti riservati
©2020 Immagine di Orazio Nullo diritti riservati

domenica 1 giugno 2025

Pro memoria da "FUORI TEMPO MASSIMO" di Claudio Montini (Independently published - 2024)

Una bibita fresca

Stava bene lì, finalmente in equilibrio, con la confusione e le voci che si sovrapponevano ai grilli e alle cicale che, alla faccia dello smog e dei semafori e del traffico, ripetevano senza sosta il loro concerto dedicato a madre natura con le coreografie dei piccioni e dei passeri e delle rondini.
Aironi, ibis e cavalieri d'Italia preferivano il mare a quadretti: dei nidi umani e dei loro inquilini non sapevano che farsene e non si fidavano affatto.

Peccato che il giorno vada a finire, scivolandoci come sabbia tra le dita. Non ho mai avuto un cuore da leone accanto a una donna che mi piace, cui vorrei dedicare tutto il mio tempo, cui vorrei dare tutto il mio piccolo mondo, cui vorrei costruire una casa sicura in cui non temere alcun male. 
Per darsi un contegno e togliersi dall'imbarazzo di uno sguardo profondo in cui, per un istante interminabile, le loro anime si erano scambiate di posto e avevano scorrazzato dietro le loro maschere pubbliche, Massimo aprì la Moleskine e gli consegnò tutte le parole di questo pensiero mentre Chiara intratteneva le pettegole di quartiere con cenni e saluti, secondo un codice segreto e ben collaudato, non senza richiamare all'ordine il pargolo fischiando come un arbitro di basket cavilloso ad ogni sua eccessiva esuberanza. 
Infilava indice e pollice ai lati della bocca, il pieno ai polmoni e via: Andrea l'avrebbe riconosciuto tra mille e altrettanti si sarebbero voltati per vedere chi fosse il detentore di quel perentorio richiamo; per alcune delle presenti non era una cosa elegante, non era da donne ma da pastori, per altre era una alternativa all'urlo a gola strozzata che terrorizza anche la Cina, per tutti era una tecnica difficile o impossibile da replicare, ivi compresa la successione di gesti con cui comunicava a distanza la sua inappellabile volontà.
Riposta l'agendina, la tasca opposta vibrò e suonò: il telefono cellulare lo avvisava dell'appuntamento con la dottoressa, il medico che aggiusta i cervelli sfasati. 
Meno male! Capita a fagiolo! Non sapevo proprio cosa dire per rompere il silenzio senza scadere nei soliti cliché, i migliori anni della nostra vita, che lavoro fai, come ti trovi, chi ti apre lo sportello, cosa fai stasera o domani o nel fine settimana... 
Scrutò lo schermo fingendosi accigliato e sorpreso; poi la guardò per scusarsi, inclinando la testa da un lato, assumendo una buffa espressione e ricorrere a una frase di circostanza. 
Chiara sorrise maliziosa quanto mai e lo prese in contropiede. 
«Il dovere chiama! L'ora d'aria è finita, il timeout è scaduto...»
«Come dici? Oh, questo? No, no... 
Non è come pensi, no... 
Del resto, io sono un'uomo libero, te l'ho detto quest'estate e l'inverno, poi, fa di me un uomo vegetale...  
Forse è per questo che sto bene qui, al parco: anzi, oggi sono stato meglio di tante altre volte...»  
«Le suore dell'asilo sostenevano che stare al sole fa bene al calcio delle ossa, specie nei bambini, ma il sole di primavera fa bene ad ogni cosa: perchè risveglia la vita, i colori...» 
Gli ardori mai sopiti degli amori inconfessati, senza fortuna e senz'altra consolazione che la fantasia, l'immaginazione. 
Eppure oggi siamo stati più vicini che mai: mi accontento di questa piccola fiammella, questa tremula illusione. 
«Se lo dicevano già loro, deve esserci del vero: vorrà dire che, da oggi in poi, ci verrò più spesso per correre ancora il rischio di incontrare così tanta bella gente.»  
A un orecchio distratto poteva sembrare una frase da romanzo d'appendice, invece lui si rese subito conto d'essere stato tanto sincero quanto non lo era stato mai: si alzò, salutò da lontano il bimbo e strinse la mano di lei con un impercettibile inchino che non mancò di turbarla piacevolmente; l'affettazione da primo novecento italiano era di gran lunga la sua favorita rispetto alla grettezza gratuita contemporanea, specialmente quando veniva scambiata per trasgressione o, peggio, per naturale evoluzione dei costumi.  
Non era una vergine di ferro, non era più da un pezzo, non c'era alcun aspetto dell'intimità e dell'umanità che fosse ignoto, se non altro per sentito dire: tuttavia, c'è modo e modo per gestirli, per vivere le pulsazioni naturali.  
Distolse lo sguardo dal controllo del nipote giusto il tempo per apprezzare la camminata e le spalle e tutto il resto dell'uomo, non più ragazzo con la chitarra, che si allontanava di nuovo in un'altra direzione incontro a un'altra donna.  
Era già stata protagonista di un simile film, non una volta sola e non aveva voluto credere alle chiacchiere proprio di una delle “sentinelle” che, anche oggi, avevano stenografato il labiale e non solo gesti e atteggiamenti.  
Chi se ne importa! 
A me basta il mio Andrea, che stia bene e sia felice: quando il suo campanello suonerà, si libererà della vecchia zia e si scorticherà il cuore come meglio crede... 
Nel frattempo, però, si accettano miracoli...  
Cioè, anche alla zia piacerebbe provare di nuovo...  
Se è vero, come è vero, che nulla accade per caso... 
Stiamo a vedere: domani è un altro giorno!
«Dov'è andato il signor Massimo, zia?»
«Aveva un impegno, un appuntamento che stava per scordarsi ed è corso a casa a prepararsi.» 
«Peccato. Volevo salutarlo. Anche lui ha una bella stretta di mano: sembra uno sincero, uno a posto come dice il nonno. Mi è quasi simpatico.»  
Anche a me... Anzi, di più... 
«Se ti può consolare, però, ha detto che è stato bene qui, sulla nostra panchina.
Ha visto tanta bella gente e tornerà ancora.» 
«Ah sì? Bene! Allora potremmo venirci anche noi più spesso, no, cioè, io volevo dire che ci puoi venire anche quando sono via, dai nonni, così voi due potete parlare liberamente... 
Così potete dirvi tutte quelle cose che i bambini, come me, non dovrebbero ascoltare o imparare dai grandi.» 
Era serio e placidamente consapevole delle parole uscita dalla sua bocca, il piccoletto, tanto che incassò lievemente la testa nelle spalle e allargò le mani coi palmi all'insù tenendo stretti i gomiti ai fianchi, per sottolineare la ragionevole ovvietà del suo pensiero e strappando un sorriso cordiale alla zia. 
Davvero questo “angioletto” ha soltanto cinque anni? 
Alla sua età, per me, il mondo degli adulti era un pianeta fuori dal sistema solare... 
E nemmeno sapevo cosa fosse un pianeta! 
«Grazie per il suggerimento, Andrea: ti prometto che ci penserò sopra. A me è venuta una gran sete: andiamo a vedere se Oreste ha già tirato fuori la macchina della menta e del tamarindo?»
«Zia... Ma tu sai leggere anche nel pensiero!! Sei la più bella zia del mondo, dai andiamo, andiamo che ho sete anche io!» 
Magari mi lasciasse anche prendere un sacchetto di patatine... 
Quelle con la sorpresa dentro... 
Quelle che nonna non vuole perché dice che mi rovinano l'appetito e i denti e sono troppo unte e...
Uffa! 
Ma adesso dovrebbe essere ora di merenda, no? 
Ecco: le offro anche a lei così ne prende due sacchetti... 
«Invece tu sei proprio una piccola volpe!
Mi fai leggere solo quello che ti fa comodo, caro il mio bel bricconcello!
Coraggio: dammi la manina e, un piede dopo l'altro in men che non si dica, saremo al cospetto dell'omino della caffettiera.»
Con due folti baffi nerissimi, il viso dai lineamenti regolari e vagamente orientali, retaggio di antenati della Magna Grecia, il cappello e la camicia candidi, la cravatta corta sulla pancia con una caffettiera stilizzata ben in vista, un sorriso sempre aperto e pronto, il gestore del punto ristoro pareva essere uscito dagli schermi della televisione della terzultima parte del ventesimo secolo, al termine di un filmato pubblicitario con protagonista la celeberrima moka piemontese.
Chiara aveva sempre avuto quell'idea e Andrea l'aveva sposata così come si accettano le regole della casa che ti ospita: dopo un po' di tempo, le si danno per scontate.
Era andata così anche per il manovale siciliano che non era più tornato oltre lo stretto di Messina, dopo aver regalato quindici mesi di gioventù con le stellette allo stato.
Il sabato e la domenica, comprese le feste comandate, appariva con un motocarro attrezzato persino con una ghiacciaia, oltre a un variegato assortimento di dolciumi e noccioline e bibite; il resto della settimana si dava da fare con calce e mattoni.
Qualcuno cominciò a domandargli di provvedere al pranzo dei colleghi di cantiere e finì per lasciare secchio e cazzuola: la cosa non gli dispiacque affatto e gli parve di aver trovato la sua strada per il successo.
Però, i cantieri si fecero sempre più rari e qualcun altro gli suggerì di piazzarsi ogni giorno in quel parco, accontentandosi di soddisfare le piccole e grandi golosità dei frequentatori: alle carte e alla sicurezza avrebbe provveduto qualcun altro ancora.
Oreste si adattò, non domandò ma aiutò chiunque si affacciasse alla soglia del chiosco con la benedizione dei “santi in paradiso” che, per qualche ragione a lui tuttora ignota, si erano messi in capo di tutelarlo: quella era e doveva rimanere una zona franca, un'oasi nel deserto d'asfalto e sampietrini, un momento di respiro nella lotta per intascare uno spicciolo in più del proprio vicino. 
«La vita è stata generosa con me: ho fatto sempre ciò che mi è piaciuto senza mai annegare nel guano; perchè dovrei essere avaro io con gli altri che stanno messi peggio di me? 
Hai sete? Hai fame? Non hai un soldo in tasca per pagare? 
Fa niente: però dimmelo prima, dimmelo subito, non fare il furbo, non ci provare nemmeno, non ne approfittare. 
Una guerra tra poveri può solamente finire male, senza vinti né vincitori e tutti più straccioni di prima. 
Il modo per saldare i debiti si manifesterà da sé ma, con buona probabilità, mi sarò dimenticato persino d'averti aiutato. 
Giù, da me, dalle mie parti, si dice che bisogna fare il bene e poi scordarselo.»
Questo discorso Oreste lo ripeteva spesso a chi gli contestava una eccessiva attenzione verso i poveri e gli emarginati. 
Per quanto ne sapeva Chiara, che curava da anni la sua contabilità, i crediti generati a quel modo erano rientrati fino al centesimo, ciascuno coi propri tempi: ma aveva saputo anche che l'intero ammontare, arrotondato per difetto, veniva girato alla parrocchia dirimpettaia per le opere di carità ogni mese con una puntualità svizzera. 
Perchè anche lui era passato attraverso quei momenti difficili e duri, sapeva perfettamente cosa si provava e quanto coraggio ci volesse per chiedere aiuto.

©2024 Testo di Claudio Montini - estratto da FUORI TEMPO MASSIMO (Independently published)
©2024 Immagine di Orazio Nullo

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