Dorsi opposti
di Claudio Montini
Che cosa resterà di noi?
Corrispondenza che non ho evaso mai, memorie di guai scampati e risate svanite come bollicine in un calice di vino spumante: proprio quello che ci ha ubriacato al festival degli sconosciuti.
Cose che ci siamo detti, per ipocrisia.
Cose che non abbiamo pensato, per spavalderia.
Cose che non sappiamo tuttora gestire, per sciocca follia.
D'altro canto, a chi mai potrà importare della nostra condizione?
Dopo tutto, siamo prigionieri incatenati ai giorni e alle notti e non passeggeri su un sasso dal cuore di ferro, con la scorza di ossigeno e azoto, che orbita intorno a una stella che brucia insieme a tante altre nell'universo inimmaginabile, incomprensibile, irriproducibile in una sola immagine.
Siamo ostaggi di fantasmi di ieri: la cattiva memoria è un'arma di distrazione di massa, quando la forma prende il posto della sostanza.
Tu non cerchi l'amore: vuoi sazietà,
agio, sicurezza e comodità
a portata di mano in continuità.
Tu non cerchi l'amore: vuoi l'esclusiva,
il centro dell'attenzione senza trattativa,
senza rispetto per l'altrui prerogativa.
Abbi la paziente pietà di non lamentarti
dei derelitti ignari che osano corteggiarti,
avallando i tuoi stessi temi per affascinarti,
illusi di risultare vincenti al gioco delle parti.
Io, invece, l'ho visto e vissuto, consumato e perduto
perchè nella gioventù non ero maturo e compiuto,
non l'avevo apprezzato, non l'avevo riconosciuto.
Io, poi, mi sono buttato a capofitto
nel dimenticarlo, con apparente profitto,
sicuro d'avere la terra promessa in affitto.
Povero illuso, sciocco guitto e mentecatto!
L'amore se ne infischia di qualsiasi patto:
bussa alla porta nel momento meno adatto!
Così dilaga la nostalgia e il danno è fatto.
Ecco cosa resterà di noi, amanti virtuali del terzo millennio: troppo sofisticati o troppo semplici, ci incontreremo di nuovo lungo le traiettorie elettroniche, le assi e le quinte di questo palcoscenico immateriale sigillato tra plastica, vetro, silicio e altre terre rare.
Eviteremo accuratamente di riconoscerci, di salutarci educatamente, di ammettere d'essere sopravvissuti all'ultima tempesta ormonale in un bicchier d'acqua: proprio quella che ha messo di fronte le nostre schiene, separandole, mentre da un punto dell'orizzonte veniva in primo piano la parola "Fine", come nei film degli anni '50 e '60 del secolo breve.
Siamo figli del Ventesimo Secolo quanto la sabbia della spiaggia possa esserlo del mare: lo sciabordio delle onde fa ciò che vuole di ogni singolo granello, o sasso a caso e a capriccio, importandogli un bel nulla dei suoi sogni o dei suoi desideri.
Ammesso e non concesso che ne abbia mai avuti quanto noi.
©2023 Testi di Claudio Montini
©2015 Immagine di Augusta Belloni